Pensioni sopra i 2.500 € penalizzate: ecco chi rischia fino a 115.000 € in 10 anni

Il tema della rivalutazione delle pensioni è tornato al centro del dibattito, con particolare attenzione ai trattamenti superiori a 2.500 €. Secondo le stime di Cida e Itinerari Previdenziali, oltre 3,5 milioni di pensionati subiranno effetti significativi dal taglio della perequazione. Le cifre evidenziano un impatto rilevante sul reddito reale dei pensionati di fascia medio-alta.

Negli ultimi anni la perequazione automatica è stata oggetto di numerosi interventi normativi, con l’obiettivo di contenere la spesa pubblica. La rivalutazione, che adegua gli assegni pensionistici al costo della vita, non è uniforme: i trattamenti più bassi vengono tutelati in misura maggiore, mentre per quelli oltre una certa soglia si applicano riduzioni progressive.

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Pensioni sopra i 2.500 € penalizzate: ecco chi rischia fino a 115.000 € in 10 anni – trading.it

Questo meccanismo, se da un lato garantisce maggior sostegno ai redditi minimi, dall’altro penalizza chi percepisce pensioni medio-alte, che si vedono riconoscere incrementi inferiori rispetto all’inflazione effettiva. Secondo i calcoli forniti da Cida, un pensionato con assegno di 2.500 € lordi al mese potrebbe perdere almeno 13.000 € nei prossimi dieci anni, cifra che cresce in proporzione all’importo della pensione.

Gli effetti del taglio della rivalutazione

Le analisi di Itinerari Previdenziali mostrano come la riduzione della rivalutazione incida soprattutto sulla fascia di pensionati che supera i 2.500 € lordi mensili, pari a meno di 2.000 € netti. Si tratta di circa un quinto dei pensionati italiani, oltre 3,5 milioni di persone. Nel dettaglio, chi percepisce trattamenti più elevati, ad esempio sopra i 10.000 € lordi mensili (circa 6.000 € netti), potrebbe subire una perdita che in dieci anni arriva fino a 115.000 €.

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Gli effetti del taglio della rivalutazione – trading.it

Gli esperti sottolineano che il meccanismo di perequazione ridotta comporta un effetto cumulativo: ogni anno l’incremento più basso rispetto all’inflazione determina una base di calcolo più contenuta per gli anni successivi. In questo modo, la penalizzazione si amplifica progressivamente, creando un divario crescente tra l’assegno percepito e quello che si sarebbe ottenuto con una rivalutazione piena. La logica alla base della misura è quella di concentrare le risorse sui trattamenti minimi, ma la conseguenza è un impatto diretto sul potere d’acquisto delle pensioni medio-alte.

I numeri e le prospettive future

Il confronto tra diverse fasce reddituali mette in luce differenze significative. Secondo i dati diffusi da Cida, per un pensionato con assegno mensile di 3.000 € la perdita complessiva nell’arco di dieci anni può arrivare a circa 20.000 €, mentre chi percepisce 5.000 € lordi al mese rischia di veder sfumare oltre 50.000 € nello stesso periodo. Le cifre crescono ulteriormente con assegni superiori, fino a toccare 115.000 € in meno per i trattamenti più alti.

Il dibattito politico e sindacale resta aperto: da una parte la necessità di garantire la sostenibilità della spesa previdenziale, dall’altra la percezione di iniquità per chi ha versato contributi elevati durante la vita lavorativa. Secondo le stime dell’Istat, l’inflazione ancora elevata amplifica il tema della perequazione, rendendo la questione centrale per la tutela del potere d’acquisto. In prospettiva, eventuali modifiche potrebbero dipendere dall’andamento dell’economia e dalle scelte del governo in materia di bilancio pubblico.

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