Oltre 70 società di Piazza Affari scambiano meno del 10 % del proprio capitale, diventando quasi “fantasma”. Ma ci sono casi solidi ignorati dal mercato: cosa rischia chi cerca fortuna?
Nella Borsa italiana convivono nomi blasonati e società quasi invisibili: i titoli con flottante ridotto, liquidità minima e scambi ridotti al lumicino. Il fenomeno interessa più di 70 aziende che nel corso di un anno vedono contrattare meno del 10 % della propria capitalizzazione, innescando interrogativi sulla loro utilità nel mercato. Il problema nasce dal fatto che spesso gli azionisti di controllo bloccano quote ben oltre il 70/80 %, lasciando poche azioni “libere”. In alcuni casi, società con conti sani subiscono lo stesso destino, ignorate dagli investitori.
Il fatto è che con pochi scambi basta un ordine grande per stravolgere i prezzi, intrappolando chi entra. E non mancano esempi concreti: Kruso Kapital con flottante intorno al 6 %, oppure Masi Agricola che lascia libere poco più del 10 % delle azioni. C’è poi chi osa crescere nonostante l’oscurità: il caso Sol, che negli ultimi 12 mesi ha generato ricavi vicini a 900 milioni €, con margini EBITDA attorno al 25 %, ma resta sotto i radar. Marino Rosetti, invece, in pochi mesi ha inciso sul mercato con un rally da 50 € a oltre 200 €, malgrado la scarsa liquidità del titolo.
Una causa primaria del fenomeno è lo scarso flottante: quando il controllo societario detiene l’80-90 % del capitale, rimane poco per il pubblico. In Kruso Kapital, Banca Sistema possiede il 70 % e altri soci forti circa il 20 %, riducendo il flottante al 6 %. Masi Agricola è controllata al 80 % dalla famiglia Boscaini, con solo il 10 % scambiabile. Nel caso di Eukedos, La Villa spa detiene il 90 % del capitale e il flottante resta all’8 %. Anche Ratti, con oltre l’84 % del capitale in mani forti, resta poco visibile al mercato. Ma non è solo una questione di partecipazioni: alcuni business sono percepiti come poco attrattivi o presentano risultati contabili trascurabili, il che alimenta il disinteresse degli analisti.
Ci sono poi casi paradossali: società come Franchi Umberto Marmi mostrano dati operativi solidi, ma con solo il 14 % delle azioni liberamente scambiabili. Caltagirone Holding, con il 87,5 % del capitale sotto il controllo della famiglia, lascia poco spazio al mercato. Il caso Acinque, multi-utility, ha un flottante ancora più basso: 4,5 %. Infine, ci sono realtà come Sol, che produce risultati eccellenti ma rimane quasi fosca nella visibilità borsistica, e Marino Rosetti, che ha visto un rally improvviso trainato da qualche operazione isolata.
Il principale rischio è la trappola della liquidità: basta un ordine consistente per creare salti o cadute improvvise del prezzo, senza che ci siano fondamentali reali. Chi entra rischia di non poter uscire se non a prezzi svantaggiosi, perché non c’è mercato sufficientemente attivo. Le oscillazioni diventano speculazione pura, priva di supporto dai bilanci. Inoltre, la mancanza di copertura analitica rende difficile valutare quelle società: pochi report, pochi broker pubblici le seguono. Per titoli con scambi minimi, la volatilità reale può essere molto maggiore di quella mostrata. Un’altra strategia dei piccoli investitori è diversificare con titoli più liquidi e limitare l’esposizione sui cosiddetti “titoli fantasma”.
Chi volesse considerare queste azioni dovrebbe valutare soprattutto il rapporto fra capitalizzazione e flottante, il volume medio giornaliero, il numero di giorni senza scambi e il livello di controllo azionario. Anche guardare alle società incluse nel calcolo del flottante nei principali indici può aiutare. In sintesi, il mercato di Borsa Italiana nasconde molte società che esistono solo “nominativamente”, e la partecipazione richiede attenzione estrema: le occasioni possono esserci, ma occorre evitarne i tranelli.
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