Una volta erano considerate semplici debolezze. Poi è toccato al diabete, all’infarto, a disturbi mentali prima ignorati. Ora, anche per chi vive con un rapporto disfunzionale col cibo, si intravedono diritti e riconoscimenti concreti.
Cosa accade quando alimentarsi diventa una battaglia quotidiana? Quando il disagio supera i confini della mente e si riflette su ogni aspetto della vita? Le risposte stanno finalmente emergendo.

C’è chi mangia troppo, chi non mangia affatto, chi seleziona ossessivamente ciò che mette nel piatto. Ma al di là del comportamento visibile, ci sono emozioni in frantumi, vite sospese, relazioni spezzate. I disturbi del comportamento alimentare non sono mode o fissazioni: sono patologie reali, che oggi colpiscono in modo trasversale giovani e adulti, uomini e donne. L’anoressia, la bulimia, il binge eating e l’ortoressia non si fermano davanti al contesto sociale o al livello culturale. Sono disturbi gravi che lasciano il segno nella quotidianità, spesso nel silenzio.
Chi ne soffre si trova a lottare non solo contro il proprio corpo, ma contro lo stigma, l’invisibilità e la difficoltà di accedere a tutele adeguate. Ma qualcosa si sta muovendo. È sempre più chiaro che anche chi convive con un disturbo alimentare ha diritto, nei casi più gravi, al riconoscimento dell’invalidità civile e ai benefici previsti dalla Legge 104.
Quando il cibo è un campo di battaglia
Dietro l’anoressia non c’è solo il desiderio di magrezza: c’è il bisogno di controllo, la paura del cambiamento, un rifiuto profondo del proprio corpo. Chi ne è colpito può arrivare a livelli estremi di denutrizione, con conseguenze gravi su organi, ciclo mestruale, concentrazione e vita sociale. La bulimia, invece, alterna abbuffate a pratiche compensatorie come vomito autoindotto o uso di lassativi. Si vive in un costante stato di colpa, e il corpo diventa campo di una guerra silenziosa.

Più recente, ma non meno impattante, l’ortoressia si manifesta con l’ossessione per l’alimentazione “pulita”. Un comportamento apparentemente sano, che in realtà può isolare e compromettere la vita relazionale. E poi c’è il binge eating disorder, con abbuffate non seguite da compensazioni, ma cariche di vergogna e malessere.
Tutte queste condizioni, nei casi in cui alterano profondamente la capacità di vivere, lavorare o interagire, possono oggi rientrare tra quelle per cui è possibile richiedere l’invalidità civile. Le percentuali, secondo le tabelle INPS, variano dal 20% al 100% in base alla gravità.
Disturbi alimentari e Legge 104: un diritto da conoscere
Quando un disturbo alimentare limita l’autonomia personale o impedisce una vita sociale attiva, può essere riconosciuta una disabilità secondo la Legge 104/92. Questo significa, ad esempio, accedere a permessi lavorativi, supporto educativo o agevolazioni per i caregiver. La malattia non è solo fisica: incide sul modo di percepirsi, di relazionarsi, di vivere.
Ricevere questi riconoscimenti non è semplice, ma è possibile. E può rappresentare un passo fondamentale per uscire dall’ombra. Perché ogni disagio che compromette l’esistenza merita ascolto, attenzione e dignità.