Andare in pensione a 64 anni è ancora possibile, ma in alcuni casi le penalizzazioni sono elevate. Chi rischia un assegno misero?
Maturare i requisiti minimi per l’accesso alla pensione non è sempre sufficiente per avere un assegno adeguato al costo della vita. Sull’importo spettante, infatti, incidono una serie di elementi. Per questo motivo, negli anni si è molto discusso sull’introduzione di un terzo presupposto: il raggiungimento di una certa somma per l’accesso alla pensione.

Questo problema investe sia chi smette di lavorare a 67 anni sia chi lo fa in anticipo a 64 anni e riguarda soprattutto i cd. contributivi puri, ossia coloro che hanno iniziato a versare contributi previdenziali a partire dal 1996.
Pensione a 64 anni ma con calcolo contributivo: occhio al limite economico
I contributivi puri hanno la facoltà di beneficiare della pensione anticipata contributiva a 64 anni di età. È, tuttavia, prevista la maturazione di un assegno pensionistico pari almeno a 3 volte l’Assegno sociale (1.616,07 euro al mese nel 2025).

Si tratta di un limite enorme, considerato che tale cifra spesso è molto difficile da conseguire, a causa dell’aumento del costo della vita e dell’inflazione. E con gli anni la situazione è destinata a peggiorare. Le uniche eccezioni sono previste per le donne con un figli (che devono raggiungere una pensione pari a 2,8 volte l’Assegno sociale) e per quelle con più figli (per le quali il requisito scende a 2,6 volte l’Assegno sociale).
In base alle ultime indiscrezioni, il Governo starebbe pensando all’introduzione di un’altra restrizione economica dal prossimo anno o dal 2027: la necessità di raggiungere una pensione pari almeno a 3,2 volte l’Assegno sociale. Questa condizione renderebbe molto più difficile la fruizione della pensione anticipata a 64 anni di età.
Chi rientra nella categoria dei contributivi puri?
I contributivi puri sono i lavoratori che hanno iniziato ad accreditare i contributi previdenziali solo a partire dal 1° gennaio 1996, anno del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Questa categoria di soggetti è costretta a fare i conti con forti penalizzazioni sull’importo spettante, perché la somma viene determinata solo sulla base del montante contributivo e non anche (a differenza del meccanismo retributivo) sull’ultimo stipendio percepito.
Di conseguenza, applicando tale sistema, chi smette di lavorare più tardi riceverà un assegno più ricco rispetto a chi accede al pensionamento in anticipo. Tale disparità di trattamento, poi, è molto evidente per coloro che hanno avuto carriere discontinue o retribuzioni non elevate. Per i contributivi puri, inoltre, non è prevista l’integrazione al trattamento minimo.