C’è una domanda che ritorna spesso nei corridoi delle case di riposo, nei centri CAF e durante le dichiarazioni dei redditi: “Posso detrarre la retta della casa di riposo di mia madre, la paga lei con la sua pensione ma vorrei scaricarla io?”
È una questione che tocca molti, soprattutto chi si fa carico, anche solo in parte, della cura di un genitore anziano o non autosufficiente.
Le regole fiscali, però, non sono sempre semplici da interpretare e la risposta, purtroppo, non è immediata.
Ma per orientarsi, bisogna capire bene cosa si può considerare detraibile e come comportarsi per non commettere errori.

La casa di riposo è spesso una scelta obbligata, dettata dalla necessità di garantire assistenza continua a chi non può più vivere da solo. Chi paga la retta, però, non sempre è chi vorrebbe usufruire delle agevolazioni fiscali. Ed è proprio qui che iniziano i dubbi. Quando un familiare non fiscalmente a carico paga per il proprio genitore, è lecito chiedersi se e come possa dedurre o detrarre quelle spese. La risposta sta nelle regole dell’Agenzia delle Entrate, ma anche nella capacità di distinguere le voci di spesa sanitarie da quelle alberghiere.
Le case di riposo spesso emettono fatture cumulative: vitto, alloggio, assistenza medica, fisioterapia, igiene personale. Ma solo alcune di queste voci sono riconosciute ai fini fiscali. Ecco perché è fondamentale che nella documentazione ci sia una separazione chiara tra le spese sanitarie e quelle generiche. Senza una distinzione formale, si rischia di perdere il beneficio, anche se le prestazioni sono state realmente rese.
Detrazione del 19%: quando e per chi è possibile
Le spese sostenute per prestazioni di assistenza a una persona non autosufficiente possono essere detratte al 19%, entro un massimo di 2.100 euro, a condizione che il reddito di chi le sostiene non superi i 40.000 euro. Il limite vale per contribuente e non per persona assistita. Questo vuol dire che, anche se la madre paga la retta, il figlio può detrarre la quota sanitaria solo se la sostiene in modo diretto e documentato.

È importante quindi che il pagamento sia tracciabile e che la fattura riporti in modo esplicito chi ha versato la somma. In caso contrario, l’Agenzia delle Entrate potrebbe non accettare la detrazione. La Circolare 39/E del 2010 chiarisce che è necessario allegare tutta la documentazione, comprese le ricevute e una nota che specifichi chi ha sostenuto la spesa.
Se più persone partecipano alla spesa, il limite dei 2.100 euro va suddiviso tra tutti. Ecco un caso tipico: due figli pagano la retta della madre. Ciascuno potrà detrarre il 50%, sempre nel rispetto del tetto complessivo.
Quando si può dedurre dal reddito l’intera spesa sanitaria
La deduzione è una possibilità diversa dalla detrazione, e in certi casi può risultare più vantaggiosa. Riguarda le spese mediche generiche e di assistenza specifica sostenute per persone con disabilità riconosciuta. In questo caso, l’intero importo può essere sottratto dal reddito complessivo, riducendo così in modo più diretto le imposte da pagare.
Per accedere alla deduzione, però, è necessario che la disabilità sia certificata da una commissione medica e che le prestazioni siano rese da personale qualificato, come infermieri, fisioterapisti, operatori socio-sanitari. Anche qui, la documentazione deve essere precisa: la fattura deve specificare quali prestazioni sono oggetto di deduzione.
In alcune Regioni, le spese sanitarie vengono calcolate in modo forfettario, sulla base di delibere locali. Se non è presente il riferimento alla delibera, l’Agenzia può rifiutare la deduzione. È dunque essenziale che la struttura alleghi un documento che indichi la quota sanitaria secondo le regole regionali.
Infine, vale la pena ricordare che, anche se il genitore paga con la propria pensione, il figlio può dedurre le spese se ha effettuato personalmente i versamenti, documentandoli in modo corretto. La chiarezza nella documentazione è ciò che fa la differenza tra un’agevolazione concessa e una rifiutata.