Un’uscita anticipata dall’ufficio o una pausa pranzo più lunga del solito potrebbero sembrare gesti innocui. Ma se a compierli è un quadro aziendale, le conseguenze possono cambiare radicalmente. Una recente ordinanza della Cassazione ha acceso i riflettori su un aspetto spesso trascurato: anche chi ha ruoli di responsabilità deve rispettare regole ben precise, soprattutto quando si parla di orario di lavoro. Il confine tra autonomia e violazione è più sottile di quanto si pensi, e può trasformarsi in terreno scivoloso.
Quel pomeriggio, nessuno sembrava far caso alla scrivania vuota. Un’assenza come tante, in fondo. Ma quando quell’abitudine si ripete, giorno dopo giorno, inizia a sollevare domande.

In molte aziende, i quadri godono di una certa flessibilità, che può indurre a pensare che siano “al di sopra” delle regole comuni. Eppure, non è sempre così. In particolare, quando c’è un orario fissato dal contratto collettivo, il rispetto diventa un dovere vincolante. Anche per chi si muove tra riunioni e decisioni strategiche.
Il punto è semplice: la fiducia tra azienda e lavoratore si costruisce anche nei dettagli. E l’orario di lavoro non è un dettaglio secondario. È un patto. Infrangerlo sistematicamente può incrinare anche la posizione più solida.
Il quadro aziendale non è automaticamente esentato dagli orari
Con l’ordinanza n. 9081 del 6 aprile 2025, la Cassazione ha chiarito che i quadri aziendali devono attenersi agli orari previsti dal CCNL, salvo eccezioni molto specifiche. L’idea diffusa che una figura di medio-alta responsabilità possa gestire il proprio tempo con assoluta libertà viene così smentita. Esistono sì delle deroghe previste dalla legge, ma riguardano solo chi possiede poteri realmente direttivi o un’autonomia gestionale paragonabile a quella dei dirigenti.

Nel caso analizzato, il lavoratore aveva preso l’abitudine di raddoppiare la durata della pausa pranzo, senza autorizzazioni né giustificazioni. Nonostante l’assenza di precedenti disciplinari, la Corte ha riconosciuto che la reiterazione della condotta violava gravemente l’obbligo di osservare l’orario contrattuale, giustificando il licenziamento per giusta causa.
La decisione conferma che, in assenza di un’espressa esenzione, anche chi ricopre un ruolo di responsabilità intermedia deve rispettare il quadro normativo e contrattuale in tema di orario. L’autonomia non deve essere confusa con libertà assoluta, soprattutto se l’organizzazione aziendale ne risente.
Conseguenze gravi anche se il CCNL non prevede il licenziamento
Un aspetto poco noto è che, anche quando il CCNL prevede sanzioni più lievi per una certa infrazione, il giudice può comunque valutare se il comportamento sia grave al punto da giustificare il licenziamento. Questo vale in particolare se l’atto è ripetuto nel tempo, ha effetti sull’organizzazione aziendale o mina il rapporto fiduciario.
Nella vicenda esaminata dalla Cassazione, il contratto collettivo non vietava esplicitamente il licenziamento per pause prolungate. Tuttavia, il giudice ha ritenuto che il comportamento, proprio per la sua frequenza e per il contesto, rappresentasse una violazione così seria da rompere il legame fiduciario.
Non si tratta solo di rigide applicazioni normative. È una questione di equilibrio tra fiducia, regole e responsabilità. Chi occupa ruoli chiave deve saper bilanciare autonomia e disciplina. Perché anche un piccolo strappo, ripetuto nel tempo, può diventare motivo di rottura.