C’è un punto nella Legge 104 che può cambiare davvero la vita. Non si trova nei titoli più noti, né nelle parti più discusse, ma è lì, al comma 3 dell’articolo 3.
È lì che si decide quando una disabilità diventa “grave”, e con essa arrivano diritti, tutele, priorità. Ma come si arriva a quel punto? E cosa vuol dire davvero? Le esperienze di Sandro, Arianna e Michele aiutano a capirlo, con la voce di chi ci è passato.
Sandro lavorava da anni in officina, sempre sul pezzo. Dopo un infarto, è iniziato un lungo percorso di esami, visite e valutazioni. Arianna, affetta da una malattia intestinale cronica, vive giornate scandite dal dolore. Michele, pensionato, si perde spesso nelle strade che ha percorso per decenni: l’Alzheimer sta lasciando il segno. Per tutti e tre, un giorno è arrivato un verbale. E con esso, una parola chiave: disabilità grave.
Non tutte le condizioni di salute danno automaticamente accesso ai benefici della Legge 104. Per ottenerli, è necessario il riconoscimento di un handicap, e fin qui interviene l’articolo 3, comma 1.
Ma è il comma 3 che fa la differenza: stabilisce quando una condizione assume il carattere di gravità, cioè quando riduce l’autonomia della persona al punto da richiedere assistenza permanente o continuativa.
La valutazione è affidata a una Commissione dell’ASL, che prende in esame la situazione clinica e applica tabelle ministeriali definite nel 1992. Quelle tabelle indicano, per ogni patologia, una percentuale di invalidità civile. Se questa è superiore al 33%, si può accedere alla Legge 104. Ma quando la patologia compromette gravemente l’autonomia personale, può essere riconosciuta come “grave”.
E qui arrivano differenze sostanziali. Per alcune patologie, come gravi aritmie cardiache, la percentuale può superare l’80%. Per le forme più avanzate di Alzheimer, si arriva anche al 100%. Lo stesso vale per malattie intestinali croniche in fase acuta. Ogni caso, però, viene valutato singolarmente.
Sandro, dopo il suo infarto, ha ricevuto una diagnosi di aritmia grave. La Commissione gli ha attribuito una percentuale di invalidità tra l’81% e il 100%. Quel verbale ha aperto la porta alla disabilità grave, permettendogli di accedere a permessi lavorativi e cure più mirate.
Arianna, invece, ha affrontato un lungo iter. Solo quando la malattia intestinale si è aggravata, ha ottenuto un riconoscimento superiore al 70%. Questo ha significato più tutele sul lavoro e una gestione più umana della sua quotidianità.
Michele, con l’Alzheimer, ha visto il suo punteggio salire a 100%. Questo ha permesso alla sua famiglia di accedere a supporti pubblici e permessi retribuiti per assisterlo.
In fondo, non è solo una percentuale. È un modo per dire: “non sei invisibile”.
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