Cosa fare quando il lavoro diventa una fonte costante di malessere, quando la pressione è tale da togliere il sonno e l’ansia accompagna ogni giorno? In alcuni casi non è solo stress: è una condizione che logora lentamente, che isola, che pesa anche fuori dall’orario di lavoro.
E quando si arriva a dire basta, può nascere un dubbio cruciale: se si lascia il lavoro per questo motivo, è possibile ricevere comunque un sostegno economico? Le dimissioni per giusta causa per stress, mobbing o straining possono aprire una strada concreta, anche verso la NASpI.

Ci sono situazioni che non si possono più ignorare. Ambienti tossici, superiori che esercitano continue pressioni, richieste fuori orario, negazione sistematica di permessi. Col tempo, si inizia a stare male davvero: difficoltà a dormire, irritabilità, panico. Non è solo “un momento difficile”. È una realtà lavorativa che logora e che può spingere a una decisione estrema: dimettersi.
Ma spesso chi vive tutto questo ha paura. Temendo di non poter più accedere alla disoccupazione, si resta bloccati. Eppure esiste una possibilità precisa prevista dalla legge: le dimissioni per giusta causa. Una forma di tutela per chi è costretto ad andarsene non per scelta, ma perché il contesto lavorativo è diventato insostenibile.
Quando la giusta causa permette l’accesso alla NASpI
In generale, chi si dimette non ha diritto alla NASpI. Ma quando ci si trova di fronte a situazioni particolarmente gravi, la normativa riconosce l’indennità di disoccupazione anche in caso di dimissioni, purché motivate da giusta causa. La legge parla chiaro: quando le condizioni impediscono la prosecuzione del rapporto, anche solo temporaneamente, si può lasciare il lavoro mantenendo il diritto alla prestazione economica.

Cosa significa “giusta causa”? Si parla di comportamenti del datore o di un clima aziendale che compromette la salute psico-fisica: carichi eccessivi, offese, esclusione sistematica, pressioni continue. In presenza di malafede, con lo scopo preciso di colpire un lavoratore, si parla di mobbing. Se la pressione è costante ma non mirata a una persona, è straining. In entrambi i casi, se provati, danno diritto a dimettersi e richiedere la NASpI.
La parte delicata è fornire le prove. Email, ordini di servizio irragionevoli, certificati medici, comunicazioni con il datore: ogni documento può aiutare. Anche il supporto del medico curante, dello psicologo o di colleghi testimoni può fare la differenza. Tutto deve emergere in modo chiaro nella comunicazione di dimissioni, da inviare anche via PEC, indicando che si tratta di dimissioni per giusta causa.
Le dimissioni avvengono tramite il portale del Ministero del Lavoro. Dopo la cessazione, la domanda per la NASpI va presentata all’INPS entro 68 giorni. La valutazione non è automatica: l’ente può richiedere documentazione aggiuntiva. In caso di rifiuto, esiste la possibilità di ricorso. Diverse sentenze hanno confermato il diritto alla prestazione, anche quando l’INPS aveva inizialmente negato.
Chi lascia un lavoro perché ne è stato logorato non è in difetto. Sta scegliendo di tutelarsi, e la legge, se supportata da prove, riconosce questo diritto.