Una lunga carriera, una pensione meritata e poi… silenzio. Nessun bonifico, solo scadenze da aspettare. È il paradosso che vivono molti dipendenti pubblici: dopo anni di servizio impeccabile, il Trattamento di Fine Servizio non arriva subito. C’è chi aspetta mesi, chi anni. Ma tutti si chiedono la stessa cosa: perché deve andare così? Quando il lavoro è finito, inizia una nuova attesa, fatta di norme, quote e pazienza. E nel frattempo, progetti e bisogni restano in sospeso. Ecco cosa succede davvero dietro le quinte di questo diritto troppo spesso rinviato.
Maria ha attraversato una vita intera dietro una scrivania. Ha vissuto la trasformazione delle istituzioni, firmato migliaia di documenti, seguito riforme su riforme. Mai un’assenza ingiustificata, mai un problema. Dopo decenni all’interno dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, è finalmente il momento della pensione.

Ma il sollievo dura poco. Perché, chiusa la porta dell’ufficio, si apre un altro capitolo. Uno che non aveva previsto: l’attesa per ricevere il TFS, quella somma che rappresenta anni di dedizione, oggi regolata da tempi che sembrano fuori dalla realtà.
Ciò che avrebbe dovuto essere un passaggio naturale si trasforma in una trafila. Maria, come molti, scopre che il sistema non restituisce quanto dovuto in un’unica soluzione. E nemmeno in tempi brevi. Esistono scaglioni, limiti e ritardi legali. Tutto previsto dalle norme, certo. Ma tutto anche estremamente distante da ciò che le persone si aspettano quando salutano il proprio lavoro.
Quando arriva il Trattamento di Fine Servizio? Le regole che trasformano un diritto in un’attesa infinita
Dietro la sigla TFS si nasconde un meccanismo complicato. Introdotto per ragioni di equilibrio di bilancio, il sistema di pagamento prevede che la liquidazione venga rateizzata in base all’ammontare. Chi ha maturato un importo inferiore a 50.000 euro riceve tutto in un colpo solo. Ma oltre questa soglia, si aprono scenari più lenti: due rate per chi supera i 50.000 euro, tre per chi oltrepassa i 100.000. Maria, con il suo TFS di 87.000 euro, riceverà il primo bonifico (da 50.000 euro) dopo almeno dodici mesi. Il secondo, con i restanti 37.000, solo l’anno successivo.

Il tutto è regolato dall’art. 12 del decreto-legge 78/2010, convertito nella legge 122/2010. La norma prevede anche tempi di attesa fissi prima dell’erogazione: un anno per chi va in pensione per limiti d’età o anzianità, due anni per chi lascia per altri motivi. A questi tempi si sommano i tre mesi tecnici per la liquidazione effettiva. E se si sfora? In teoria, sono previsti interessi legali e rivalutazione monetaria. Ma farli valere richiede spesso assistenza legale o sindacale.
Tra banche, rinunce e frustrazione: le alternative al TFS che non tutti possono permettersi
L’attesa può diventare insostenibile. Per questo motivo è possibile anticipare il TFS attraverso convenzioni tra INPS e banche. Il meccanismo permette di incassare subito l’importo maturato, ma a un prezzo. Le banche applicano interessi, seppur calmierati, e il dipendente si ritrova a rinunciare a una parte della somma pur di non attendere anni. È una scorciatoia, sì, ma non senza costi. E non tutti possono o vogliono imboccarla.
I sindacati denunciano da anni il carattere penalizzante di questo sistema. La Corte Costituzionale è intervenuta più volte, affermando il principio di giusta corresponsione delle somme maturate. Eppure, tutto resta com’è. Per chi ha lavorato per lo Stato, come Maria, la beffa è dover chiedere ciò che dovrebbe essere automatico. E magari pagare per ottenerlo in tempi umani.