Chi ha usufruito dei permessi o del congedo straordinario previsti dalla legge 104 per assistere un familiare disabile si è forse chiesto, almeno una volta, se queste assenze possano incidere sull’importo della pensione. Una preoccupazione legittima, soprattutto per chi ha fatto sacrifici importanti per la cura dei propri cari. I dubbi aumentano quando si parla di contributi figurativi, limiti di retribuzione e calcolo dell’assegno futuro.
Prendersi cura di un genitore o di un figlio con disabilità grave è spesso una scelta dettata dal cuore, ma le implicazioni pratiche non mancano. Chi si è assentato dal lavoro per periodi più o meno lunghi sa quanto possa diventare cruciale capire se quel tempo avrà un peso nel percorso verso la pensione.

Non si tratta solo di retribuzione mensile: si guarda più avanti, all’assegno pensionistico. Soprattutto se le assenze sono durate mesi o addirittura anni.
In Italia, il sistema previdenziale riconosce alcune tutele per chi si prende cura di familiari fragili, ma non sempre queste tutele hanno lo stesso valore contributivo. È qui che entrano in gioco i permessi retribuiti 104 e il congedo straordinario, due strumenti diversi ma entrambi legati alla disabilità grave. Capire come incidono davvero sulla pensione è fondamentale.
Permessi retribuiti 104: assenza tutelata e contributi pieni
I permessi retribuiti legge 104 consentono al lavoratore dipendente di assentarsi dal lavoro per tre giorni al mese (anche frazionabili), mantenendo la retribuzione e, soprattutto, la copertura contributiva. L’INPS considera questi periodi come lavorati a tutti gli effetti, grazie ai cosiddetti contributi figurativi.

Questa forma di copertura non comporta alcuna riduzione sulla futura pensione, né per quanto riguarda il diritto (ossia gli anni richiesti per accedere alla pensione) né per l’importo finale dell’assegno.
Un insegnante di scuola superiore che ha utilizzato regolarmente i tre giorni mensili per assistere la madre con disabilità grave per due anni scolastici, continuerà a vedersi riconosciuti quei mesi nel proprio montante contributivo come se avesse lavorato normalmente. Nessuna penalizzazione, né in termini di età pensionabile, né sull’importo.
Altro caso: un operaio metalmeccanico ha usato i permessi per assistere la sorella affetta da una malattia neurodegenerativa. Anche per lui, quei giorni risultano “coperti” dall’INPS e non comportano perdite future.
Congedo straordinario: attenzione al tetto massimo
Discorso diverso per il congedo straordinario retribuito, che può durare fino a due anni nell’arco della vita lavorativa. Anche in questo caso, i contributi figurativi coprono il periodo, ma entro un limite. L’INPS, per il 2025, ha fissato il massimale annuo a 57.038 euro. Ciò significa che chi percepisce una retribuzione annua superiore vedrà riconosciuti i contributi solo fino a quel limite.
Un impiegato amministrativo con uno stipendio annuo di 52.000 euro, che ha usufruito di un anno di congedo, non subirà alcuna penalizzazione: tutto rientra nel tetto. Diverso invece per una dirigente d’azienda con 70.000 euro annui: i contributi saranno calcolati solo fino a 57.038 euro. La parte eccedente non sarà considerata ai fini pensionistici, influendo sull’importo dell’assegno finale.
Stessa situazione per un libero professionista dipendente da un ente pubblico, che ha scelto di prendersi cura del padre affetto da demenza senile. Se il suo stipendio era superiore al massimale, parte dei contributi non sarà coperta, con conseguenze visibili sulla pensione.
Queste differenze possono sembrare tecnicismi, ma fanno la differenza nella costruzione di una pensione adeguata. In molti casi, prima di decidere se usufruire del congedo straordinario, può essere utile verificare la propria fascia retributiva e valutare con attenzione le conseguenze nel lungo periodo.