Con gli insulti online verso qualcuno non si esercita libertà di espressione, ma un danno con risarcimenti.
Il condizionale non basta se si diffondono fake news, lo dice la Cassazione, chiarendo quando il diritto di cronaca non giustifica l’offesa.

Utilizzare sui social o su un blog l’affermazione offensiva a cui segue “avrebbe” o “sarebbe”, ponendo il discorso sul fronte del dubbio, non può evitare condanne penali per diffamazioni online.
Una semplice frase può trasformare un’ipotesi in un’accusa infamante. Ma se fosse così, non si può dire nulla allora? La Cassazione chiarisce con la pronuncia punto di riferimento per chi si occupa di cronaca giudiziaria e condivide notizie sul web.
La sentenza n. 14196/2025 stabilisce che non basta il condizionale, anzi in alcuni casi “potrebbe rincarare la dose” nei termini offensivi della notizia. Suggerisce probabilità, specie se si mescolano fatti veri a falsi, creando un messaggio subdolo.
Un caso concreto aiuta a comprendere. Un autore aveva pubblicato una notizia su un blog che accusava un membro della Guardia di Finanza di essere in affari con i Narcos davanti un’inchiesta. L’autore ha ribadito di aver usato il condizionale e che non avesse intenzione di diffamare, ma la cassazione ha ritenuto irrilevante questa giustificazione, poiché l’articolo suggeriva la notizia come una “verità”.
Accostando i vari elementi, l’autore non aveva verificato la veridicità della notizia. La scriminante del diritto di cronaca non c’è quando: la notizia è falsa, offensiva, o la fonte non è verificata, o l’informazione è suggestiva e ambigua. Soprattutto se il messaggio è lesivo.
Non si può nemmeno, nel caso trattato, parlar di “cronaca putativa”, cioè del diritto esercitato in buona fede, se il giornalista non ha svolto alcun controllo.
Risarcimenti quando insulti qualcuno online: cos’è il diritto di cronaca
Evidenziata la questione, bisogna capire cosa sia il diritto di cronaca e come questo mancato elemento possa conseguire risarcimenti quando insulti qualcuno online. La legge parla chiaro.

Per esercitare legittimamente il diritto di cronaca e invocarlo, ex art. 51 c.p., ci devono essere tre elementi imprescindibili. La verità del fatto, o comunque fondata su verifiche rigorose. Deve essere di interesse pubblico, i fatti devono avere rilevanza per la collettività, non semplice curiosità. Soprattutto deve vigere una certa “continenza espositiva”, cioè modi e termini non devono essere aggressivi o sensazionalistici.
Se anche uno di questi elementi manca, il diritto di cronaca non sussiste se c’è contenuto diffamatorio. Specificatamente, la cronaca putativa subentra quando seppur manchi la verità del fatto narrato, viene meno la responsabilità dell’autore, perché questi dimostra di aver agito in buona fede, dopo aver comunque cercato di verificare i fatti. Ma se non c’è nessuna prova per ciò, non può valere.
Le forme dubitative e interrogative sono meno offensive rispetto a quelle condizionali, perché non insinuano una probabilità. Il condizionale invece se accostato a fatti “veri” suggerisce una plausibilità, anche se non la certezza. Strumento potente per diffondere notizie non proprio veritiere.
Si potrebbe avere responsabilità penale e civile, con tanto di condanna alla pena detentiva per la diffamazione.