Lasciare l’Italia per iniziare una nuova vita può sembrare la soluzione ideale, ma chi riceve un assegno di invalidità deve fare attenzione. Non tutti sanno che trasferirsi all’estero comporta cambiamenti importanti nei propri diritti. In particolare, ci sono regole poco conosciute che possono influenzare direttamente la possibilità di continuare a ricevere questo tipo di sostegno economico.
C’è chi parte per ricongiungersi con i figli, chi cerca un Paese più inclusivo, chi semplicemente vuole cambiare aria. Le ragioni sono tante, ma spesso non si considera che il cambio di residenza può incidere profondamente su prestazioni assistenziali ottenute in Italia. Molti pensano che, mantenendo un conto bancario italiano, si possa comunque continuare a ricevere l’assegno anche dall’estero. Ma non è così semplice.

Anche una permanenza temporanea fuori dall’Italia può portare a problemi, se supera una certa durata. E non tutti i Paesi europei hanno un sistema di tutele simile a quello italiano. Il rischio è quello di ritrovarsi senza più un sostegno economico né alternative valide nel nuovo Paese. Ecco perché, prima di fare le valigie, è bene conoscere fino in fondo cosa prevede la normativa.
Residenza all’estero: cosa accade all’assegno di invalidità
L’assegno di invalidità è una prestazione economica erogata dall’INPS alle persone con una ridotta capacità lavorativa riconosciuta. Si tratta di una misura di tipo assistenziale, pensata per chi vive stabilmente in Italia. Proprio per questa ragione, se la residenza viene trasferita all’estero in modo definitivo, l’assegno viene automaticamente sospeso e poi revocato.

Il Regolamento (CE) n. 883/2004 dell’Unione Europea specifica chiaramente che le prestazioni non contributive, come l’assegno di invalidità, non sono esportabili. Non possono quindi essere versate su conti bancari esteri o percepite da chi ha spostato la propria residenza in un altro Paese. Questo vale anche per altre prestazioni simili, come l’assegno sociale o l’indennità di accompagnamento.
Se il trasferimento è temporaneo e non supera i sei mesi consecutivi, l’assegno può continuare ad essere versato, purché il beneficiario mantenga la residenza in Italia. Tuttavia, superato questo limite, anche in assenza di un cambio formale di residenza, l’INPS può avviare controlli e sospendere il beneficio. Fa eccezione solo chi ha gravi motivi di salute documentati, con certificazioni mediche valide.
Un caso pratico chiarisce bene la situazione: un uomo invalido al 74% decide di passare otto mesi in Germania, ospite del figlio. Non cambia la residenza, ma viene iscritto all’AIRE. L’INPS, incrociando i dati, rileva l’anomalia e blocca l’erogazione dell’assegno. Per riattivarlo, è necessario dimostrare il rientro in Italia e, in alcuni casi, sottoporsi a nuova visita medica.
Diritti e tutele per disabili fuori dall’Italia: cosa cambia davvero
Il trasferimento all’estero non comporta solo la perdita dell’assegno. In molti casi, cambia anche il modo in cui la disabilità viene riconosciuta e trattata. Ogni Paese ha le sue regole, e il certificato di invalidità civile rilasciato dall’INPS non ha valore automatico oltre i confini nazionali. Per accedere a eventuali benefici locali, serve sottoporsi a una nuova valutazione, secondo i criteri dello Stato ospitante.
Anche il lavoro può diventare un ostacolo. In Italia esistono le liste speciali per il collocamento mirato delle persone disabili, ma non tutti i Paesi adottano lo stesso sistema. Alcuni, come la Francia o la Spagna, prevedono quote obbligatorie di assunzione per i datori di lavoro. Altri, come il Regno Unito o l’Irlanda, si affidano a leggi antidiscriminazione, senza quote numeriche.
Un giovane con invalidità riconosciuta in Italia che si trasferisce nei Paesi Bassi, ad esempio, scopre che il suo status non è automaticamente riconosciuto. Deve iniziare da capo, senza il supporto di enti pubblici simili ai nostri centri per l’impiego. Senza una rete di protezione, inserirsi nel mondo del lavoro può rivelarsi molto complicato.
Chi intende spostarsi all’estero deve quindi valutare non solo l’eventuale perdita dell’assegno di invalidità, ma anche l’accessibilità ai servizi sanitari, l’eventuale necessità di stipulare un’assicurazione privata, e le differenze nel trattamento delle persone con disabilità. Ogni scelta va ponderata con attenzione, magari affidandosi a consulenze specifiche prima di compiere il passo definitivo.