Esiste una soglia che non lascia spazio a compromessi: basta un solo euro in più e l’assegno di invalidità civile può svanire. Una regola semplice ma per molti spiazzante, capace di cambiare in un attimo il quadro economico di chi vive con questa prestazione. Comprendere come funziona il meccanismo, quali sono i numeri e cosa accade se il reddito personale supera i limiti previsti è fondamentale per non ritrovarsi in situazioni difficili. Dietro quei valori apparentemente freddi c’è infatti la continuità di un sostegno essenziale per chi affronta ogni giorno le difficoltà di una disabilità.
Quando si parla di assegno di invalidità civile, si pensa subito a un aiuto indispensabile, ma pochi sanno quanto siano rigide le regole che lo governano. Le cifre fissate dalla legge non ammettono flessibilità: non ci sono riduzioni o trattenute parziali, ma un diritto che si mantiene solo restando entro quei limiti. Un confine netto che separa chi ha accesso alla prestazione da chi lo perde, anche solo per una minima variazione.
Ecco perché le comunicazioni all’INPS, come il modello RED, non sono una semplice formalità: possono decidere il destino della prestazione. Anche piccoli cambiamenti, come un nuovo contratto di lavoro o un reddito aggiuntivo, diventano determinanti. In questo scenario, il ruolo dei patronati o dei CAF si rivela essenziale: aiutano a evitare errori e a correggere eventuali calcoli sbagliati. Il concetto di “reddito imponibile” entra così nella quotidianità, obbligando chi riceve il sostegno a confrontarsi con norme fiscali e dichiarazioni ufficiali. Non è solo burocrazia, ma la chiave per mantenere un equilibrio fragile e indispensabile.
Nel 2025, per continuare a percepire l’assegno mensile di invalidità civile, riservato a chi ha una percentuale di invalidità compresa tra il 74% e il 99%, il reddito personale annuo non deve superare 5.771,35 euro. Per la pensione di invalidità civile totale, destinata agli invalidi al 100%, il tetto sale a 19.772,50 euro. Oltre questi limiti, anche solo di pochi euro, la prestazione viene revocata completamente, senza possibilità di ricevere importi ridotti.
L’assegno resta fissato intorno ai 336 euro al mese per tredici mensilità. Non rientrano nel calcolo il valore della prima casa, le rendite INAIL e l’indennità di accompagnamento, che rimane sempre indipendente dal reddito. Il reddito preso in considerazione è quello imponibile ai fini IRPEF, calcolato al lordo delle imposte ma al netto degli oneri deducibili. La normativa prevede inoltre l’obbligo di comunicare ogni anno la propria situazione tramite modello RED e di segnalare immediatamente eventuali variazioni, per evitare di incorrere in richieste di restituzione. In caso di errori, è possibile chiedere una ricostituzione reddituale per rettificare il calcolo dell’INPS, un passaggio spesso effettuato con l’aiuto di un patronato.
La prima difesa contro la perdita dell’assegno è la consapevolezza: conoscere le regole e monitorare con attenzione il proprio reddito. Ogni entrata, dal lavoro occasionale agli interessi bancari, può incidere sul calcolo e mettere a rischio il diritto alla prestazione. Per questo il supporto di CAF e patronati diventa prezioso, non solo per compilare correttamente il modello RED, ma anche per valutare se un eventuale superamento della soglia sia reale o frutto di un calcolo errato. L’INPS non applica riduzioni progressive: il confine è netto, e superarlo significa perdere l’assegno. Tenere traccia delle entrate e comprendere quali voci siano effettivamente conteggiate permette di muoversi con maggiore sicurezza. Dietro le cifre e i moduli ci sono storie reali di chi dipende da questi importi per vivere: non si tratta solo di burocrazia, ma di stabilità e dignità quotidiana.
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