Se vendi le tue opere artistiche devi pagare le tasse, ecco cosa dice la legge

Vendere arte non è solo una questione di ispirazione e talento. C’è una parte nascosta, fatta di regole fiscali, ricevute e contributi che spesso vengono ignorati. Molti iniziano per passione e si trovano presto a chiedersi se sia tutto in regola. Ogni quadro venduto, ogni illustrazione spedita può portare con sé obblighi precisi, anche se l’intento non è imprenditoriale.

Capire la linea sottile tra hobby e attività vera e propria può fare la differenza tra tranquillità e problemi con il fisco.
Le regole ci sono, ma non sono sempre intuitive. Ecco perché è importante guardare da vicino ciò che davvero distingue una vendita occasionale da un’attività strutturata.

scultore
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Un artista vende la sua prima opera a un conoscente. Nessun sito, nessuna promozione, solo un passaparola. In questo caso, la vendita può rientrare nella prestazione occasionale. Ma se inizia a pubblicare su Instagram, riceve richieste frequenti o partecipa a eventi, la situazione cambia. A quel punto serve chiarezza: vendere arte può diventare un’attività economica, con obblighi ben precisi.

Quando la vendita è occasionale e quando non lo è più

Chi vende un’opera sporadicamente, senza promozione o organizzazione professionale, può rientrare nella prestazione occasionale. Non serve aprire Partita IVA, basta emettere una ricevuta con i dati di venditore e acquirente, descrizione dell’opera e importo ricevuto. Questo reddito va dichiarato tra i “redditi diversi” nel Modello 730 o Redditi Persone Fisiche.

persona che effettua un pagamento
Quando la vendita è occasionale e quando non lo è più-trading.it

Se i guadagni annui superano i 5.000 euro, è obbligatoria l’iscrizione alla Gestione Separata INPS e il versamento dei contributi sulla parte eccedente. Un illustratore che vende due stampe l’anno, senza promozione online né esposizioni, può restare nella prestazione occasionale. Ma se comincia a ricevere richieste ogni settimana e apre uno shop online, allora la prestazione non è più saltuaria.

La continuità, la presenza online, la partecipazione a fiere o mercatini rendono l’attività organizzata e ripetuta nel tempo. In questi casi, l’attività artistica assume le caratteristiche di un lavoro vero e proprio, e diventa obbligatoria l’apertura della Partita IVA.

Partita IVA per artisti: codici, regimi fiscali e casi pratici

Chi vende regolarmente le proprie opere deve aprire una Partita IVA, con codice ATECO 90.03.09 (“altre attività di creazioni artistiche”). L’iscrizione va fatta all’Agenzia delle Entrate e alla Gestione Separata INPS. A volte serve anche presentare la SCIA al Comune.

Il regime fiscale più diffuso è il forfettario, che prevede un’imposta sostitutiva del 15%, ridotta al 5% nei primi 5 anni. Il reddito imponibile si calcola applicando un coefficiente di redditività del 67%. Chi incassa 10.000 euro, ad esempio, paga imposta e contributi su 6.700 euro. L’imposta sarà di 335 euro (al 5%) e i contributi INPS circa 1.742 euro. Il totale fiscale si aggira intorno ai 2.077 euro.

Se invece le spese reali superano il 33% dei ricavi, ad esempio per affitto di studio, materiali costosi o collaboratori, il regime ordinario può essere più vantaggioso. In questo caso si deducono tutte le spese documentate, ma si entra in un sistema più complesso con IVA, IRPEF a scaglioni e obbligo di fatturazione elettronica.

Chi colleziona arte può vendere opere in modo sporadico, purché non lo faccia con intento di lucro. Tuttavia, se la vendita genera una plusvalenza (cioè guadagno rispetto al prezzo d’acquisto), può essere tassata al 26%. Il mercante d’arte, invece, acquista e rivende con regolarità: in questo caso l’attività è commerciale e soggetta a tutti gli obblighi fiscali previsti per l’impresa.

Una sentenza della Cassazione ha chiarito che anche chi vende da casa o su piattaforme online può essere considerato imprenditore, se l’attività è organizzata e continuativa. La differenza non sta nel volume, ma nella modalità con cui si opera.

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