Un matrimonio durato sei mesi, una richiesta di risarcimento rifiutata e una sentenza che fa tremare le certezze di molti. Può un’unione essere vissuta come esperimento senza conseguenze legali? E cosa accade se uno dei coniugi non ha mai creduto davvero nella durata del legame? La Cassazione ha risposto con un’ordinanza che cambia il modo di guardare alle relazioni coniugali. Tra libertà individuali e responsabilità affettive, emerge una nuova lettura del diritto matrimoniale che farà discutere ancora a lungo.
Un uomo si ritrova solo, deluso e amareggiato. Dopo pochi mesi dal matrimonio, la moglie chiede l’annullamento del vincolo religioso, affermando apertamente di essersi sposata “per provare”. Nessuna reale convinzione, nessuna intenzione di durare.

Lui si sente tradito, prende la via del tribunale e chiede un risarcimento per i danni morali e materiali subiti. Ma la giustizia civile non gli dà ragione. Prima i giudici di merito, poi la Corte di Cassazione, rigettano ogni richiesta. Il motivo? Spezzare un matrimonio non è un torto giuridico. Anche se fa male.
La sentenza, che porta il numero 28390, è chiara: nessuno è obbligato a restare in un’unione che non vuole più. Il diritto a chiudere una relazione, anche quando è stata celebrata ufficialmente, è pienamente tutelato dalla Costituzione. Non importa se il legame è stato vissuto come un esperimento. Non esiste un diritto al risarcimento solo perché una relazione finisce prima del previsto.
Chi si sposa solo per “provare” non è obbligato a pagare: ecco perché la Cassazione ha detto no al risarcimento
La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta di un marito che pretendeva un risarcimento dalla moglie, colpevole – secondo lui – di averlo ingannato sul senso del matrimonio. Dopo appena sei mesi, lei aveva avviato l’annullamento religioso, sostenendo di non aver mai creduto nell’indissolubilità del vincolo.

Ma i giudici hanno stabilito che questo non costituisce un illecito. In altre parole, anche sposarsi con uno spirito “di prova” non è qualcosa che possa generare responsabilità civile.
Il punto centrale della decisione è che la libertà di porre fine a una relazione rientra nei diritti fondamentali della persona, tutelati dagli articoli 2 e 29 della Costituzione. Non si tratta solo di formalità legali: è il riconoscimento del diritto a scegliere, a cambiare idea, a interrompere un legame quando non lo si sente più proprio. Il tribunale non può punire una persona per aver scelto di non restare in un matrimonio che non la rappresenta più, nemmeno se questo avviene dopo poco tempo.
Nessun obbligo di restare uniti, nessuna colpa da espiare. Solo la necessità di rispettare le forme previste dalla legge per separarsi. E questo, per la Cassazione, vale anche se la persona che lascia lo fa dopo aver vissuto il matrimonio come un semplice test.
Matrimoni brevi, legami fragili e libertà personali: il diritto segue i tempi che cambiano
Questa ordinanza segna una svolta importante nel modo in cui si interpreta il diritto di famiglia oggi. Non si parla più solo di doveri coniugali, ma di libertà emotive e scelte individuali. La Cassazione ha riconosciuto che l’esperienza affettiva non può essere sottoposta a sanzioni economiche solo perché si interrompe prima del previsto. L’amore non può essere vincolato per legge.
Il significato simbolico del matrimonio resta importante, ma non può trasformarsi in un contratto blindato. Anzi, la legge guarda sempre più al benessere e all’equilibrio emotivo delle persone, anche a scapito della durata dell’unione. Le relazioni, oggi, sono più complesse, meno stabili, ma non per questo meno autentiche. Pretendere che ogni unione duri per forza è un’idea che non corrisponde più alla realtà sociale.
Chi si sposa oggi lo fa spesso con maggiore consapevolezza, ma anche con la libertà di cambiare idea. E se da un lato può sembrare che il valore del matrimonio venga ridimensionato, dall’altro emerge una visione più rispettosa dei percorsi personali. In fondo, restare uniti per forza può fare più danni che lasciarsi nel momento giusto. Forse, allora, più che una sentenza da criticare, questa è una decisione che invita a ripensare davvero cosa significhi oggi condividere la vita con qualcuno.