La determinazione della superficie per il calcolo della TARI continua a generare dubbi tra i contribuenti italiani. La normativa distingue tra superficie calpestabile e superficie catastale, con regole precise ma non sempre di immediata applicazione. Conoscere i criteri stabiliti dalla legge è fondamentale per evitare errori e contestazioni da parte dei comuni.
La disciplina della TARI è stata introdotta con la legge n. 147/2013, che definisce le modalità di calcolo della base imponibile. La superficie calpestabile, misurata lungo i muri interni e dichiarata dal contribuente, rappresenta il parametro principale. In mancanza di dichiarazione o in caso di dati incompleti, i comuni possono però applicare una presunzione legale pari all’80% della superficie catastale. Questo criterio, pensato per uniformare i controlli, genera spesso incertezza perché le due misure possono portare a valori molto diversi.
L’Agenzia delle Entrate, subentrata all’ex Agenzia del Territorio, ha il compito di condividere i dati catastali con gli uffici comunali, ma il sistema automatico previsto non è ancora pienamente attivo. Per questo motivo resta fondamentale la dichiarazione del cittadino, che può essere oggetto di accertamenti mirati. Se il contribuente ritiene che la superficie reale sia inferiore a quella determinata con l’80% della catastale, deve fornire documentazione idonea. Secondo gli esperti fiscali, la prova più efficace è una perizia tecnica asseverata da un professionista abilitato, come geometra o architetto.
La legge n. 147/2013, ai commi 645 e 646, stabilisce che la superficie tassabile ai fini TARI è quella calpestabile, calcolata lungo i muri interni e senza considerare balconi, terrazzi, cantine e box auto. Si tratta di una misura più vicina all’utilizzo effettivo dell’immobile, che riflette la capacità di produrre rifiuti urbani. Tuttavia, quando il contribuente non presenta dichiarazioni o quando i dati risultano non attendibili, i comuni possono accertare la superficie utilizzando la presunzione dell’80% della superficie catastale. Questa norma consente di velocizzare i controlli, ma non è priva di criticità. Le due misurazioni, infatti, possono differire anche in modo rilevante, soprattutto negli immobili con pertinenze o spazi non abitabili.
Proprio per questo motivo la legge prevede che la presunzione sia superabile: il contribuente può presentare una relazione tecnica asseverata per dimostrare la reale superficie calpestabile. Diverse pronunce della giurisprudenza tributaria hanno confermato che questa documentazione rappresenta uno strumento valido per contestare gli accertamenti comunali e ridurre la base imponibile.
In attesa che diventino operativi gli automatismi tra Agenzia delle Entrate e uffici locali, la dichiarazione del contribuente resta il punto di partenza per il calcolo della TARI. Se l’amministrazione ritiene che i dati forniti non siano corretti, può procedere con un accertamento basato sull’80% della superficie catastale. Tuttavia, questa non è una regola assoluta, ma una presunzione che il cittadino può contrastare con prove documentali. Una perizia tecnica asseverata permette di certificare la metratura effettiva e, se accettata, porta a una riduzione della tassa. Secondo i dati del Ministero dell’Economia, negli ultimi anni sono aumentati i contenziosi proprio per la discrepanza tra superfici dichiarate e superfici accertate.
Gli esperti di diritto tributario ricordano che i comuni non possono introdurre criteri diversi nei propri regolamenti, poiché le norme nazionali prevalgono. Per questo motivo, chi riceve un avviso di accertamento può valutare il ricorso davanti al giudice tributario, allegando la documentazione tecnica necessaria. Una gestione corretta della dichiarazione e il ricorso a professionisti qualificati sono dunque gli strumenti più efficaci per evitare di pagare più del dovuto.
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