Il TFR pagato in ritardo è un problema che riguarda molti lavoratori, ma pochi sanno che può trasformarsi in un’occasione concreta per ricevere più di quanto previsto. Quando l’azienda non versa nei tempi stabiliti il Trattamento di Fine Rapporto, il danno per il lavoratore è evidente. Ma la legge è chiara, e prevede tutele precise che, se ben conosciute, possono garantire un rimborso maggiore. Basta poco per far valere i propri diritti e non lasciare soldi sul tavolo.
Quando finisce un rapporto di lavoro, l’attenzione si sposta su nuove prospettive, ma non bisogna dimenticare quanto è maturato fino all’ultimo giorno. Il TFR non è un bonus o una concessione, ma un diritto pieno. Eppure capita che, al termine del contratto, non venga corrisposto nei tempi dovuti.
A volte per difficoltà economiche dell’azienda, altre per disorganizzazione, altre ancora per vera e propria negligenza. In ogni caso, il ritardo nell’erogazione del TFR non è un semplice disguido amministrativo: è un inadempimento che comporta conseguenze legali ben precise.
Secondo l’articolo 2120 del Codice Civile, il Trattamento di Fine Rapporto deve essere liquidato nel momento in cui termina il rapporto di lavoro. Questo vale per tutte le cause di cessazione, senza eccezioni. Dal giorno successivo alla fine del contratto, il TFR è esigibile e ogni ritardo configura una violazione.
La legge non richiede neanche una diffida formale per avviare la cosiddetta mora automatica: il datore è considerato inadempiente dal primo giorno di ritardo. A quel punto, maturano automaticamente due elementi: gli interessi di mora e la rivalutazione monetaria.
Gli interessi, stabiliti dal Decreto Legislativo 231/2002, si calcolano sul tasso della BCE aumentato di otto punti percentuali, salvo che il tasso legale risulti più favorevole al lavoratore. La rivalutazione, invece, si basa sugli indici ISTAT dei prezzi al consumo, tutelando il valore reale del credito. Un ritardo anche di pochi mesi può dunque tradursi in un incremento sensibile della somma spettante.
Davanti a un TFR pagato in ritardo, il primo passo utile è l’invio di una diffida scritta al datore di lavoro. Questo non è obbligatorio per legge, ma può rappresentare una prova utile in caso di azione legale. Se il pagamento non arriva, si può richiedere un decreto ingiuntivo al Giudice del Lavoro: uno strumento rapido per i crediti retributivi.
In alternativa, è possibile tentare la strada della mediazione. Questa procedura consente di discutere con l’azienda in un contesto neutro, senza dover arrivare subito in tribunale. In molte situazioni, si trova un accordo in tempi brevi.
Nel caso in cui l’azienda sia in difficoltà economica o in fallimento, il TFR mantiene la sua natura di credito privilegiato, come previsto dall’articolo 2751-bis del Codice Civile. Questo garantisce al lavoratore una posizione di vantaggio rispetto ad altri creditori.
Nel pubblico impiego, invece, il TFR assume la forma di TFS. L’erogazione segue scadenze diverse, che variano da 105 giorni a 24 mesi a seconda della causa di cessazione. Se i tempi vengono superati di oltre tre mesi, scattano gli interessi di mora, recuperabili entro dieci anni tramite l’INPS.
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