Fa discutere una decisione dell’ABF sul mancato risarcimento in caso di frode bancaria. Quali vittime dovranno dire addio per sempre ai soldi?
Le frodi bancarie sono in notevole aumento negli ultimi anni, anche perché i truffatori hanno ideato sofisticati meccanismi per raggirare in maniera più rapida le vittime (che nella maggior parte dei casi si accorgono dell’inganno solo quando è troppo tardi).

Gli strumenti attraverso i quali si verificano le truffe sono soprattutto quelli informatici e, in particolare, la ricezione di email, SMS, telefonate e messaggi Whatsapp. Le Forze dell’Ordine invitano i destinatari a non cedere mai i propri dati personali e le informazioni relative ai conti bancari ma a contattare immediatamente la propria banca per chiedere spiegazioni. Se proprio non è stato possibile evitare i danni, i malcapitati possono ottenere un risarcimento per frode e recuperare le somme perdute; di recente, tuttavia, l’ABF (Arbitro Bancario Finanziario) ha chiarito che non sempre si ha diritto al rimborso. In quali casi può essere negato?
Truffe bancarie: che cos’è il sociale hacking e perché non da diritto al risarcimento dalla banca?
La decisione dell’Arbitro Bancario Finanziario del Collegio di Bologna del 12 febbraio 2025 ha chiarito come, in una particolare circostanza, nonostante il palese raggiro subito, le vittime non possono ottenere il rimborso del denaro perso. Si tratta dei casi riconducibili al cd. social hacking, ossia una specifica truffa che viene compiuta manipolando un soggetto per indurlo a compiere pagamenti in favore del truffatore.

In particolare, i malintenzionati ingannano le vittime spacciandosi, tramite chiamate telefoniche, per un familiare, un conoscente, un operatore della banca o addirittura per un agente delle Forze dell’Ordine. Ebbene, in tali ipotesi l’ABF ha chiarito che non è possibile chiedere alcun rimborso alla banca per le somme sottratte. La ragione risiede nella circostanza che nel social hacking i pagamenti vengono effettuati e autorizzati personalmente dalla vittima e, dunque, l’istituto di credito non ha alcuna responsabilità.
Nonostante il raggiro del truffato, in altre parole, la banca non può che considerare legittime le transazioni, perché non dispone di alcuno strumento che consenta di accertare, in tempo reale, l’inganno ai danni del proprio cliente.
Nel dettaglio, la decisione del Collegio di Bologna ha evidenziato che nei casi di social hacking, pur essendoci una volontà viziata a causa dell’inganno organizzato dai malintenzionati, l’intermediario non può che dare atto che ci sia stata l’autorizzazione ai pagamenti da parte del titolare del conto o del proprietario della carta di debito o credito e, dunque, non può essere obbligato a disporre il risarcimento.