Una sentenza che fa tremare le aziende, ma ridà respiro ai lavoratori. Una madre malata, un permesso concesso, un’indagine privata e un licenziamento che sembrava inevitabile. Poi arriva il giudice, e la storia prende una piega diversa. Quando si parla di permessi Legge 104, la linea tra uso e abuso non è così netta. E il lavoro non può essere messo in discussione per un singolo errore. Si apre così un dibattito che tocca nervi scoperti: fiducia, giustizia e umanità sul posto di lavoro.
Un uomo qualunque, una vita divisa tra il lavoro e l’assistenza a una madre gravemente malata. Giornate che si dividono tra orari da rispettare e fragilità da affrontare. Il suo nome non conta, ma la sua storia sì. Perché quel che gli è accaduto potrebbe accadere a molti.
L’azienda per cui lavora sospetta un uso scorretto dei permessi retribuiti previsti dalla Legge 104 e decide di andare fino in fondo. Affida tutto a un investigatore privato che lo riprende mentre si trova al mercato, lontano dalla madre. Il giudizio è duro e immediato: licenziamento per giusta causa.

Ma poi arriva il Tribunale di Bologna, e la sentenza n. 731/2025 cambia tutto. Un verdetto che non assolve, ma rilegge. E che apre una riflessione profonda sul significato di assistenza, sul confine tra il diritto alla cura e il rispetto delle regole. Perché ciò che appare come abuso, in realtà, potrebbe essere solo una parte invisibile della cura.
Quando le immagini non bastano: cosa conta davvero nel valutare i permessi della Legge 104
L’uomo non ha negato di aver svolto commissioni personali nei giorni di permesso, ma ha spiegato come quelle attività fossero comunque legate alla gestione della madre: spesa, farmaci, documenti. Atti quotidiani, ma fondamentali. Il tribunale ha accolto questa visione, ribadendo che l’assistenza familiare non può essere intesa in modo rigido come presenza fisica continua. A volte, anche una corsa in farmacia è un atto di cura.

Ecco perché i giudici hanno parlato di abuso parziale e non sistematico, sottolineando l’importanza di valutare la proporzionalità tra la condotta e la sanzione. Il licenziamento è stato ritenuto una misura eccessiva. La legge, ricordano i giudici, è nata per tutelare chi assiste un familiare fragile, non per punire chi, in mezzo alle difficoltà, prova a fare del proprio meglio.
Da questo caso emerge un principio forte: le immagini non bastano. Serve capire cosa accade nel contesto. Serve buon senso, capacità di analisi e attenzione alle sfumature. E serve anche il coraggio di non trasformare ogni sospetto in una condanna definitiva.
Permessi 104 tra necessità e responsabilità: perché non sempre l’errore giustifica un licenziamento
Il datore di lavoro ha certamente il diritto di vigilare, ma anche il dovere di farlo con misura. Le sanzioni disciplinari devono essere proporzionate, non automatiche. In casi come questi, un richiamo o una sospensione possono essere strumenti più efficaci, e più giusti, del licenziamento.
Questa sentenza non apre la porta all’abuso, ma ribadisce che il diritto all’assistenza è una garanzia fondata sulla realtà, non su schemi rigidi. I permessi 104 non sono concessioni da usare con timore, ma strumenti che permettono a tante persone di non dover scegliere tra il lavoro e i propri cari.
Nel mondo reale, tra orari impossibili e vite complicate, questa decisione è una boccata d’ossigeno. E lascia una domanda aperta: si può davvero misurare la cura con un orologio o una telecamera?