Cosa succede se si pensa di andare in pensione a 64 anni con 35 anni di contributi e non si vogliono accettare penalizzazioni? Il sogno di lasciare il lavoro prima dei 67 anni è sempre più diffuso, ma non tutti sanno cosa comporta davvero. Tra misure restrittive e requisiti complessi, le possibilità sembrano tante, ma le condizioni da rispettare non sono sempre vantaggiose. Uscire prima è davvero un’opzione sostenibile, oppure si rischia di compromettere l’assegno futuro?
Immaginare di dire basta al lavoro qualche anno prima della scadenza naturale è comprensibile. Soprattutto dopo decenni passati tra orari rigidi, scadenze, turni e impegni che spesso lasciano poco spazio alla vita personale. Eppure, la questione pensionistica in Italia è tutt’altro che semplice. Il sistema previdenziale è costruito su regole complesse, aggiornate di frequente, che rendono difficile orientarsi.
Pensare di andare in pensione a 64 anni con 35 anni di contributi sembra un’ipotesi concreta, ma quasi sempre comporta sacrifici economici. E questo vale anche nei casi in cui le misure di pensionamento anticipato risultino accessibili. Il nodo centrale resta: è possibile evitare tagli all’assegno INPS anticipando l’uscita?
Le misure attualmente in vigore offrono alcuni canali per il pensionamento anticipato. Tra questi ci sono Quota 103, Opzione Donna, la pensione anticipata contributiva e la Quota 41 flessibile. Ma ognuna comporta limitazioni o penalizzazioni. Quota 103, per esempio, permette di andare in pensione con 62 anni d’età e 41 di contributi, ma l’importo dell’assegno è calcolato su base contributiva, con limiti sull’importo massimo erogabile fino ai 67 anni.
Per chi ha 35 anni di contributi e vuole uscire a 64 anni, non esistono misure pienamente vantaggiose, a meno che non si rientri nei casi previsti per la pensione anticipata contributiva. Questa, però, richiede almeno 20 anni di versamenti in gestione esclusivamente contributiva e una pensione calcolata pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale.
Il problema principale resta la perdita di contributi futuri. Smettere di lavorare significa interrompere i versamenti, e questo riduce il montante contributivo. Inoltre, i coefficienti di trasformazione, che servono per calcolare la pensione, sono meno favorevoli a 64 anni rispetto ai 67. Anche in assenza di penalizzazioni dirette da parte della norma, l’importo risulta comunque più basso.
Per chi punta al pensionamento anticipato senza intaccare troppo l’assegno, alcune alternative esistono. Una delle più concrete è la previdenza complementare. Chi ha aderito a un fondo pensione durante la vita lavorativa, versando in modo costante, può utilizzare il capitale accumulato per compensare la riduzione dell’assegno pubblico.
Anche il Trattamento di Fine Rapporto può diventare una risorsa utile. Alcuni lavoratori scelgono di anticipare l’uscita e contano sul TFR per coprire il gap economico fino all’età pensionabile ordinaria. Non si tratta di soluzioni adatte a tutti, ma in alcuni casi permettono di costruire un ponte tra il lavoro e la pensione piena.
Chi ha iniziato a lavorare molto presto può valutare la Quota 41 per lavoratori precoci, che consente il pensionamento con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età, ma solo se si rientra in determinate categorie.
Infine, esistono accordi aziendali di uscita incentivata che prevedono un contributo economico per accompagnare il lavoratore alla pensione. Sono soluzioni che richiedono valutazioni attente, ma che possono offrire un buon compromesso tra tempo libero e stabilità economica.
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