La banca centrale Usa continuerà ad aumentare i tassi per regolare la stabilità dei prezzi e quindi l’inflazione. L’impostazione decisa non avrà riguardi per le ricadute necessarie sulla crescita economica.
Secondo Jerome Powell, nel suo discorso a Jackson Hole “Senza stabilità dei prezzi, l’economia non funziona per nessuno”.
Il pesante sell off seguito alle sue parole ha portato il Dow Jones a crollare di poco più del 3%, registrando la sessione peggiore dal mese di maggio. Perdono anche rispettivamente il 3,4 e il 3,9% S&P 500 e Nasdaq concludendo venerdì la seduta peggiore dal mese di giugno.
La FED ha alzato già i tassi d’interesse quattro volte quest’anno portandoli al 2,50%. L’obbiettivo adesso è raggiungere almeno il 3% entro settembre. A questo si affianca la diminuzione dell’immissione di liquidità nel sistema finanziario Usa, rafforzando nel complesso il dollaro.
Anche la BCE è intenzionata a seguire una strada fatta di rialzi dei tassi; la decisione rimane appesa a un equilibrio precario tra inflazione e crisi economica. A restare vittime della linea più dura di Francoforte ci saranno sicuramente i titoli di stato italiani e quelli dei paesi più indebitati del Sud Europa.
Già il Financial Times nei giorni scorsi ha pubblicato un articolo in cui citando i dati degli analisti di Bloomberg ci sarebbero vendite allo scoperto sui Titoli di Stato italiani per 39 miliardi di euro, mai così tante dal 2008. Una tempesta perfetta per l’Eurozona, alle prese inflazione, rallentamento dell’economia e crisi energetica.
La speculazione in tal senso fa leva sulla coincidenza della formazione di un nuovo governo. L’incertezza politica e storica breve durata dei governi rende il nostro Paese un candidato ideale per guadagnare da un ribasso delle quotazioni dei titoli sovrani.
Dopo aver riportato i tassi a zero a luglio, la BCE si prepara proprio a settembre a una nuova stretta. Se fino a pochi giorni fa l’aspettativa era di un rialzo di 50 punti base oggi questa sembra essere messa in discussione con un rialzo di 75 punti base nella riunione dell’8 settembre.
i timori per una recessione in Europa, aggravata dall’inasprimento della crisi energetica, e l’avversione al rischio che porta gli investitori a puntare sulla valuta americana come asset rifugio, spingendo così il cross euro/dollaro vicino la parità. Le crescenti preoccupazioni sulla fragilità delle forniture di gas naturale all’Europa, insieme alle buone notizie dal rapporto sul lavoro degli Stati Uniti, indicano che i timori di recessione sono ora più nettamente concentrati in Europa
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