In questi giorni si è acceso un dibattito che non accenna a spegnersi. Un compromesso, siglato tra Bruxelles e Washington, ha cambiato la rotta di relazioni economiche date ormai per scontate. Nell’aria si respira un misto di sollievo e incertezza, perché quella che sembrava una minaccia di guerra commerciale si è trasformata in una tregua, certo, ma a caro prezzo. Il nuovo dazio al 15% colpisce settori strategici, gettando un’ombra sui margini di imprese che da anni guardano agli Stati Uniti come uno dei mercati più redditizi.
Dietro i numeri, ci sono aziende, posti di lavoro, filiere che rischiano di doversi reinventare. È una pagina nuova che si apre, fatta di rischi e opportunità, e che chiede scelte rapide e lungimiranti. La sensazione diffusa è che il futuro economico europeo non sarà più lo stesso e che l’intesa firmata rappresenti solo l’inizio di una fase tutta da decifrare.

Si parla di un equilibrio sottile, dove ogni scelta politica o aziendale potrebbe spostare il baricentro di interi comparti. Non è un accordo qualsiasi: è un passaggio che obbliga l’Europa a guardarsi dentro e a interrogarsi su come affrontare una sfida che va oltre il semplice commercio.
Un dazio al 15% che cambia gli equilibri
Il 27 luglio 2025 è stata firmata un’intesa che introduce un dazio fisso del 15% sulle esportazioni europee verso il mercato statunitense, una misura che evita tariffe inizialmente ipotizzate fino al 50%. L’accordo riguarda settori cruciali come automotive, chimica, tecnologia avanzata, agroalimentare e beni di lusso, mentre alcuni comparti, tra cui aeromobili e dispositivi medici, godranno di esenzioni parziali.

La decisione è stata accolta con sollievo dai mercati, che temevano un’escalation commerciale, ma gli analisti restano cauti: per l’economia europea il colpo si farà sentire. Le previsioni di crescita UE per il 2025 sono state già riviste dallo 1,3% a circa lo 0,9%, mentre il rischio di nuovi rincari su beni intermedi potrebbe alimentare pressioni inflazionistiche. Paesi fortemente legati all’export industriale, come Germania e Italia, risultano i più vulnerabili. Le borse hanno reagito con un sollievo misurato, segnalando un equilibrio temporaneo più che una soluzione definitiva. Sul fronte americano, la Casa Bianca ha ottenuto garanzie pesanti: un impegno UE per 750 miliardi di dollari in acquisti energetici e 600 miliardi di investimenti nell’economia statunitense in tre anni, rafforzando un asse commerciale che si gioca su energia e capitali.
Impatto sui settori e strategie per il futuro
Il peso di questo accordo si farà sentire soprattutto per l’industria automobilistica, che già soffre margini ridotti e difficoltà nella transizione verso l’elettrico, e per comparti come chimica e moda, che vedranno diminuire la competitività sul mercato USA. Le imprese si trovano davanti a un bivio: assorbire i costi dei dazi comprimendo i profitti o aumentare i prezzi con il rischio di perdere quote di mercato. In Italia, i comparti del lusso e del vino sono tra i più esposti, mentre in Germania la pressione ricade sui grandi gruppi dell’automotive. Per contrastare l’impatto, Bruxelles valuta piani di sostegno e incentivi, oltre a nuove politiche industriali mirate a ridurre la dipendenza dalle forniture esterne. Diversificare i mercati di destinazione e investire nell’innovazione diventa una priorità, così come rafforzare il tessuto produttivo interno. Allo stesso tempo, le esenzioni su alcuni beni, come aeromobili e materiali selezionati, offrono spiragli interessanti per le imprese in grado di muoversi rapidamente. Cosa succederà ora?