I BTP ultralong tornano al centro dell’attenzione degli investitori, attratti da rendimenti superiori al 4% e dalla possibilità di diversificare su orizzonti temporali estesi. Ma conviene davvero impegnare il capitale fino al 2067? Il confronto tra i due titoli di Stato più discussi del momento, il BTP 2051 e il BTP 2067, mette in luce differenze significative tra rendimento, rischio e sensibilità ai tassi d’interesse.
Negli ultimi mesi il mercato obbligazionario ha mostrato un rinnovato interesse per i titoli di Stato italiani di lungo periodo, grazie a cedole più generose e a un quadro di inflazione in rallentamento. Tra i titoli più seguiti spiccano il BTP 2051 (ISIN IT0005425233) e il BTP 2067 (ISIN IT0005217390), due obbligazioni emesse dal MEF che rappresentano punti di riferimento per gli investitori di lungo corso. Il primo offre un tasso cedolare dell’1,70% e quota intorno a 62,36 €, mentre il secondo paga il 2,80% ma a un prezzo di circa 72,77 €. Nonostante la cedola più alta, il BTP 2067 presenta un rendimento netto inferiore (4,16%) rispetto al BTP 2051 (4,43%), secondo i dati di Borsa Italiana.

La spiegazione è nel prezzo: il titolo con scadenza più lunga costa di più e risente in modo amplificato delle variazioni dei tassi d’interesse. Un piccolo rialzo dell’1% nei rendimenti di mercato può far perdere fino al 20% del valore al BTP 2067, mentre l’impatto sul BTP 2051 è più contenuto, attorno al 10–12%, come evidenziato dagli analisti. In sintesi, maggiore durata significa maggiore esposizione alle fluttuazioni dei tassi e quindi a una volatilità più elevata, anche se potenzialmente più redditizia in caso di ribasso dei rendimenti.
Rendimento netto e sensibilità ai tassi il confronto tra BTP 2051 e BTP 2067
I dati mostrano che il BTP 2051, con scadenza 1° settembre 2051, offre una cedola netta del 2,39% e un rendimento netto del 4,43%, mentre il BTP 2067, con scadenza 1° marzo 2067, garantisce una cedola netta del 3,37% ma un rendimento netto più basso, pari al 4,16%. Il primo titolo, con una durata di circa 26 anni, mostra una duration inferiore e quindi una sensibilità minore alle variazioni dei tassi di interesse, mentre il secondo, con oltre 41 anni residui, amplifica ogni oscillazione.

Secondo le stime di Morningstar, una variazione dei tassi di due punti percentuali può comportare una perdita potenziale del 15% per il BTP 2051 e superiore al 25% per il BTP 2067. Un esempio pratico aiuta a capire meglio: su un investimento di 10.000 €, il BTP 2051 genera una cedola lorda di 170 € l’anno, contro i 280 € del BTP 2067. Tuttavia, il prezzo più alto del secondo riduce la redditività effettiva, rendendo più vantaggioso il titolo con scadenza 2051 per chi cerca un equilibrio tra rendimento e rischio.
Scenari macroeconomici e orizzonte temporale dell’investitore
Nel contesto attuale, caratterizzato da tassi ancora elevati e inflazione in progressiva discesa, la curva dei rendimenti tende ad appiattirsi, premiando le scadenze medio-lunghe. Gli analisti di Refinitiv e Banca d’Italia ritengono che nei prossimi anni il rallentamento della BCE nel rialzo dei tassi potrebbe valorizzare i titoli già in portafoglio, ma con effetti più marcati sui bond ultralong. Questo scenario avvantaggia chi punta su un orizzonte di 40 anni solo se intende mantenere il titolo fino a scadenza, mentre chi predilige stabilità e prevedibilità del flusso cedolare trova nel BTP 2051 un profilo più bilanciato. La minore volatilità e la maggiore facilità di gestione in caso di liquidazione anticipata lo rendono adatto anche ai risparmiatori con una propensione al rischio medio-bassa.
I dati del MEF confermano che il BTP 2051, pur offrendo una cedola più contenuta, garantisce il miglior compromesso tra rendimento e sicurezza. In un’ottica di lungo termine, la scelta tra 25 e 40 anni dipende quindi dall’orizzonte temporale dell’investitore e dalla sua tolleranza al rischio, ma i numeri parlano chiaro: a parità di capitale investito, il BTP 2051 risulta oggi più efficiente, grazie a un rendimento netto superiore e una minore esposizione alle turbolenze dei tassi d’interesse.