A volte può accadere che, dopo la visita di revisione, l’assegno di invalidità venga revocato a causa della mancanza del requisito sanitario.
Cosa può fare il titolare dell’assegno di invalidità se, al termine della visita di revisione dell’invalidità, i medici decidono per la revoca?
La legge prescrive specifici requisiti sanitari da possedere per l’erogazione dell’Assegno, in mancanza dei quali esso viene annullato. Se ciò accade, l’INPS può chiedere la restituzione delle somme che sono state erroneamente percepite dall’interessato? Nel caso in cui ciò sia possibile, da quando sorge tale obbligo? Dal giorno della visita di revisione o dalla data della comunicazione della revoca, da parte della Commissione medica?
Anche la Corte di Cassazione ha fatto luce sulla vicenda, attraverso l’Ordinanza n. 24180/2022, pubblicata il 4 agosto 2022. Analizziamola nel dettaglio.
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L’INPS propone ricorso contro un ex titolare dell’assegno di invalidità ed il Tribunale lo accoglie. I giudici, infatti, accordano all’Istituto il diritto di chiedere la restituzione delle quote erogate impropriamente, a partire dal giorno in cui l’interessata aveva sostenuto la visita di revisione e fino alla data della comunicazione del provvedimento che disponeva la revoca della misura.
La Corte di Appello conferma la sentenza di primo grado e, dunque, la soccombente decide di sottoporre il suo caso alla Suprema Corte di Cassazione. Alla base del ricorso vi è la convinzione che sussista la violazione o la falsa applicazione dell’art. 52 della Legge nr. 88 del 1989, dell’art. 13 della Legge nr. 412 del 1991, dell’art. 5 del DPR nr. 698 del 1994, dell’art. 4 della Legge nr. 425 del 1996, dell’art. 37 della Legge nr. 448 e dell’art. 2033 c.c., oltre ai principi in materia di prestazioni assistenziali indebite.
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La Cassazione, alla fine, accoglie il ricorso della soccombente. Gli Ermellini, infatti, hanno sottolineato che “in tema di indebito assistenziale trova applicazione, in armonia con l’art. 38 della Costituzione, la disciplina peculiare, diversa sia da quella generale dettata dall’art. 2033 c.c. che da quella prevista con riferimento alle pensioni o ad altri trattamenti previdenziali, appositamente dettata in materia, come tratteggiata da plurime decisioni di questa Corte”.
In particolare, si fa riferimento alle seguenti pronunce: n. 13915 del 2021, n. 13223 del 2020, n. 10642 e 31372 del 2019.
Nel caso appena illustrato, secondo la Corte, si rinviene “la regola propria del sottosistema assistenziale”. In pratica, si tratta di una situazione nella quale non è possibile, da parte dell’INPS, chiedere la restituzione di quanto versato, perché la sopravvenuta mancanza del requisito sanitario non è, in alcun modo, additabile all’ammalato. Anzi, quest’ultimo era stato indotto a fare affidamento sull’erogazione.
Nel momento in cui viene meno il requisito sanitario prescritto dalla legge, l’INPS può chiedere la restituzione delle quote, indebitamente versate, solo a partire dalla data del provvedimento con il quale viene comunicato all’interessato l’esito dell’accertamento . Tuttavia, ciò è possibile solo se il versamento indebito delle somme possa essere attribuito all’interessato e non vi siano ipotesi di un legittimo affidamento da parte di quest’ultimo.
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