L’assegno di invalidità diventa pensione di vecchiaia: si perde o si guadagna?

L’assegno di invalidità ordinario al compimento dell’età pensionabile, è trasformato in automatico dall’INPS in pensione di vecchiaia.

Assegno di invalidità e trasformazione in pensione di vecchiaia: si perde o si guadagna?
Assegno di invalidità e trasformazione in pensione di vecchiaia: si perde o si guadagna?

L’assegno di invalidità ordinario è una prestazione economica riconosciuta dall’INPS ai lavoratori dipendenti e autonomi che sono iscritti all’AGO (Assicurazione Generale Obbligatoria). I lavoratori autonomi che hanno diritto alla prestazione sono: commercianti, artigiani, coltivatori diretti, mezzadri e coloni, che sono iscritti ai fondi integrativi e sostitutivi INPS.

Ricordiamo che per ottenere l’assegno di invalidità è richiesta un’infermità mentale o fisica, che non deriva da causa di servizio. Inoltre, il grado di invalidità è accertato dall’INPS, inoltre, l’infermità deve provocare una riduzione di circa due terzi della capacità lavorativa. Per poter ottenere l’assegno è richiesto che il lavoratore possieda almeno cinque anni di contribuzione (circa 260 contributi a settimana), di cui almeno tre (156 contributi settimanali) versati nei cinque anni considerando la data di presentazione della domanda. L’assegno di invalidità ordinario è regolato dalla legge 222/84 all’articolo 4.

Assegno di invalidità e trasformazione in pensione di vecchiaia: si perde o si guadagna?

Bisogna precisare che l’assegno ordinario di invalidità non è una pensione definitiva. L’INPS, quando il percettore dell’assegno compie l’età pensionabile, trasforma l’assegno  in pensione di vecchiaia. La condizione per la trasformazione automatica è che il lavoratore deve cessare l’attività di lavoro ed è in possesso del requisito contributivo richiesto della pensione di vecchiaia.

Nel caso in cui ci sono periodi in cui il lavoratore ha beneficiato dell’assegno di invalidità con contributi di lavoro versati per l’attività lavorativa svolta, tali periodi sono considerati utili per il diritto alla pensione. Tuttavia, non sono utili a determinare la misura della pensione.

Inoltre, la pensione di vecchiaia non può risultare inferiore al valore dell’assegno di invalidità al momento del perfezionamento dell’età pensionabile. (Al punto 10 della legge 222/84).

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Trattenute e riduzioni

La legge che regola l’assegno e prevede una prima riduzione, se il titolare continua a svolgere un’attività lavorativa e supera un determinato limite di reddito. Infatti, l’assegno si riduce del 25% se il reddito supera quattro volte il trattamento il minimo, oppure, il 50% se supera cinque volte il trattamento al minimo.

Tuttavia, se l’assegno resta superiore al trattamento minimo può subire un ulteriore riduzione che è proporzionata all’anzianità contributiva, nel modo seguente:

a) con 40 anni di contributi non è operata la trattenuta aggiuntiva;

b) meno di 40 anni contributi, è operata una seconda trattenuta che è modulata in base alla provenienza del reddito da lavoro dipendente o autonomo. Ne caso di lavoratore dipendente si opera il 50% eccedente il trattamento minimo. Se lavoro autonomo, non può essere superiore al 30% del reddito complessivo prodotto. Nella trasformazione dell’assegno ordinario alla pensione di vecchiaia, la pensione di vecchiaia è cumulabile con i redditi di lavoro percepiti.

L’integrazione al minimo dell’assegno

È concessa per i titolari dell’assegno ordinario di invalidità, l’integrazione al minimo, se i redditi del titolare non superino i limiti previsti dalla legge. Il titolare per ottenere l’integrazione dovrà presentare la situazione reddituale e l’INPS accerterà se spetta il diritto all’integrazione. Ricordiamo che l’integrazione, comunque, non può essere superiore all’assegno sociale. Non è prevista la parziale integrazione sull’assegno ordinario di invalidità.

Inoltre, precisiamo che l’integrazione al minimo non è prevista per le pensioni liquidate con il sistema contributivo (legge 335/95 articolo 1, comma 16).

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