Controlli sul conto corrente dall’Agenzia delle Entrate anche ai lavoratori dipendenti

Un rilevante provvedimento della Cassazione sugli accrediti bancari non collegati allo stipendio dipendenti e il ruolo dell’Agenzia delle Entrate.

Anche nei confronti del lavoratore subordinato la legge non pone divieto al controllo dell’Agenzia delle Entrate sui conti correnti per somme non correlate alla busta paga. La Cassazione sul punto.

Controlli sul conto corrente dall'Agenzia delle Entrate
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Recenti precisazioni da parte della Corte di Cassazione indicano che anche il lavoratore subordinato deve stare attento ai controlli del Fisco, ed in particolare questo giudice si riferisce al possibile controllo sui conti correnti per somme non collegate alla busta paga.

Il provvedimento della Suprema Corte, che qui interessa, è l’ordinanza n. 10187 dello scorso 30 marzo, che si somma a quanto in precedenza fatto notare dalla stessa Amministrazione finanziaria. In particolare, secondo la Cassazione, l’art. 32 comma 1 n. 2 del DPR 600 del 1973 è valevole verso tutti i contribuenti, senza alcuna differenza. In altre parole, ogni contribuente è potenzialmente chiamato a rendere noti dati rilevanti ai fini degli accertamenti degli uffici delle imposte. E ciò al di là della distinzione tra lavoratori autonomi e subordinati. Vediamo più da vicino quanto evidenziato dalla Cassazione alcune settimane fa.

Controlli dell’Agenzia delle Entrate: il caso concreto

Come appena accennato, le norme di legge in materia si applicano alla generalità dei contribuenti. Quanto contenuto nel DPR n. 600 del 1973 – recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi – implica infatti che:

  • tutti i contribuenti e non solo i lavoratori autonomi devono essere in grado di mostrare i documenti giustificativi degli introiti che compaiono nel conto corrente.
  • il lavoratore dipendente non è escluso dall’accertamento sintetico fondato sulla sussistenza di accrediti bancari non correlati alla sua retribuzione.

Il provvedimento della Cassazione attiene al caso di un lavoratore subordinato raggiunto da avviso di accertamento di maggiori redditi ai fini IRPEF per l’anno di imposta 2009, dopo una verifica delle movimentazioni dei conti correnti bancari a lui intestati.

La Commissione Tributaria Regionale coinvolta nella vicenda accolse l’appello di fatto annullando l’avviso di accertamento, in considerazione del fatto che la presunzione legale di disponibilità di maggior reddito, ottenibile dalle risultanze dei conti bancari, non valesse verso i lavoratori subordinati.

Tesi smentita dalla Suprema Corte, che ha invece avvalorato la linea dell’Agenzia delle Entrate.

Accertamento sintetico anche per i dipendenti

Come appena accennato, la Cassazione nel suo provvedimento ha indicato che:

  • la Commissione Tributaria Regionale aveva sbagliato a ritenere che verso i lavoratori subordinati non valga la presunzione legale di maggior reddito;
  • occorre invece fare riferimento al DPR sopra citato, che all’art. 32 comma 1 n. 2 afferma l’operatività dei controlli anche per i dipendenti.

Le parole del giudice di legittimità fugano ogni dubbio, le riportiamo di seguito: è orientamento del tutto consolidato, quello per il quale “la limitazione […] dell’ambito applicativo della disciplina in esame”, ovvero di quella collegata agli accertamenti bancari, “ai soli soggetti esercitanti attività d’impresa commerciale, agricola, artistica o professionale è priva di qualsivoglia riscontro normativo”.

Parafrasando i contenuti del rilevante provvedimento adottato dalla Cassazione, in nessuna norma di legge vigente è rintracciabile la distinzione tra lavoratori autonomi e lavoratori subordinati, sul piano dell’accertamento sintetico fondato sulla presenza di accrediti bancari non collegati alla retribuzione. Pertanto detto accertamento è potenzialmente rivolto a tutti i contribuenti.

La consolidata giurisprudenza della Cassazione sul punto

Quanto appena indicato non è una vera e propria novità. Infatti, il principio è stato già affermato dalla Suprema Corte in precedenti provvedimenti. Negli anni scorsi la Cassazione ha avuto modo di rimarcare che: “la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari a norma dell’art.32 comma 1 n.2 del d.P.R. 29 settembre 1973 n.600, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti”.

A rafforzare queste conclusioni il richiamo, effettuato dal citato art.32 del DPR n. 600 del 1973, anche all’art. 38 dello stesso decreto, inerente all’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche.

Concludendo, dal punto di vista tecnico siamo innanzi ad una presunzione legale “juris tantum”, che permette di ritenere come ricavo riconducibile all’attività professionale del contribuente ogni accredito riscontrato sul c/c dello stesso. In buona sostanza, ecco un caso di inversione dell’onere della prova, ed infatti il contribuente deve fornire prova che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni dei redditi, oppure che gli accrediti registrati sui c/c non si riferiscono ad operazioni imponibili ai fini fiscali.

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