File ai distributori, taniche di riserva, volti tesi e litigi per un pieno: non è una scena da film post-apocalittico, ma uno scenario che potrebbe davvero realizzarsi, seppur non ancora diffuso ovunque. In alcune zone italiane, qualche segnale già si intravede. L’ipotesi non è affatto irreale, considerando l’attuale contesto internazionale e l’instabilità del mercato del petrolio. Le famiglie lo sanno, e iniziano a muoversi in anticipo, fiutate le prime avvisaglie.
Il malumore è tangibile. Code più lunghe del solito, rifornimenti più frequenti, qualcuno che riempie taniche per precauzione: piccoli gesti che, messi insieme, raccontano un’ansia collettiva che cresce. Non si tratta solo di voci o esagerazioni da social network: i numeri parlano chiaro.

Il prezzo del greggio Brent ha superato gli 84 dollari al barile, ma secondo gli analisti potrebbe salire ben oltre i 100 dollari se le tensioni tra Iran e Israele si inasprissero ulteriormente o se lo Stretto di Hormuz venisse coinvolto direttamente.
Di fronte a un simile scenario, la corsa al distributore appare comprensibile. Non è psicosi, ma la logica reazione di chi ricorda bene quanto velocemente i prezzi possano sfuggire di mano. Le notizie viaggiano rapide e, oggi più che mai, le paure si diffondono con la stessa velocità delle quotazioni del petrolio. E quando un pieno rischia di pesare come una bolletta, l’allerta si accende.
Il legame tra barile e benzina: perché si parla di 2,50 euro al litro
Molti si chiedono come sia possibile che un aumento del prezzo del petrolio possa tradursi in un balzo così consistente alla pompa. La risposta sta in una catena di costi e imposte che si sommano e si moltiplicano. Ogni dollaro in più al barile si riflette, in media, in circa 0,5 centesimi di euro al litro in più alla pompa. Se il Brent passasse da 84 a 120 dollari, l’incremento “teorico” sarebbe intorno ai 18 centesimi.
Ma questo è solo il punto di partenza. In Italia, accise e IVA gravano per oltre il 60% sul prezzo del carburante. Quando sale la componente netta, anche le tasse calcolate in percentuale aumentano. Inoltre, raffinazione, logistica e margini commerciali fanno il resto. Questo effetto cumulativo può portare il prezzo della benzina ben oltre i 2,50 euro al litro, specialmente nei distributori meno concorrenziali o in zone isolate.
E poi c’è la cosiddetta logica del “rocket and feathers”: i prezzi salgono in fretta (come un razzo), ma scendono con lentezza (come una piuma). Il che significa che, una volta raggiunti certi livelli, sarà difficile tornare indietro rapidamente, anche se il greggio dovesse poi stabilizzarsi.
A rendere tutto più teso sono le stime degli istituti finanziari. J.P. Morgan parla di 120 dollari al barile in caso di conflitto esteso. UniCredit si spinge fino a 130. Anche le proiezioni più caute, come quelle di Goldman Sachs, ammettono che i rischi geopolitici potrebbero rompere l’attuale equilibrio da un momento all’altro.
Benzina e oltre: i veri effetti sulla vita quotidiana
Il vero impatto di questi rincari, però, si sentirà ben oltre la pompa. Quando il prezzo del greggio aumenta, salgono anche i costi di trasporto, i listini alimentari, le bollette dell’energia. Ogni bene che viaggia su gomma – quindi quasi tutto ciò che si consuma ogni giorno – diventa più caro. E la pressione sulle famiglie aumenta, spesso in silenzio.
Molti si trovano già a rivedere spese e progetti. Le ferie estive, per esempio, iniziano a sembrare un lusso da ridimensionare. Alcuni rinunciano a piccoli comfort, altri si riorganizzano per risparmiare sul riscaldamento o sulla mobilità. È un cambiamento sottile, ma reale. E la paura, oggi, non è più quella di restare senza benzina, ma di non riuscire a gestire i suoi effetti collaterali.
Quindi no, le file ai distributori non sono una fantasia. In un mondo dove basta un tweet o una nave bloccata per sconvolgere l’economia globale, ipotizzare una corsa al carburante non è affatto inverosimile. Anzi, potrebbe essere solo l’inizio di una nuova stagione di incertezza. E mentre il prezzo sale, resta una domanda sospesa: quanto siamo davvero preparati?