Detrazione del 19% cancellata con un solo gesto: rimborso perso per molti cittadini

Una scelta fatta in pochi secondi può trasformarsi in un rimpianto fiscale. Un gesto abituale, come pagare in contanti dal dentista, può annullare ogni possibilità di recupero economico. C’è una norma in vigore che ha ribaltato il modo di affrontare le spese mediche. Eppure, in tanti non ne conoscono le conseguenze. Non è solo una questione di ricevute, ma di come si effettua il pagamento. Anche chi pensa di avere tutto in regola potrebbe trovarsi davanti a una brutta sorpresa. Ed è qui che si nasconde il punto cruciale.

Quando si parla di salute, ci si affida a professionisti, si fanno sacrifici, si pianificano visite e trattamenti. In particolare, le spese odontoiatriche rappresentano spesso un impegno economico consistente. Molti contano sulla possibilità di recuperare parte dell’importo con la detrazione IRPEF, convinti che basti conservare la fattura.

Calcolatrice e scontrini
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Ma non è più così semplice. Dal 2020, una nuova regola ha modificato le condizioni. E non rispettarla può significare perdere un vantaggio fiscale importante, anche se la prestazione è reale, documentata e necessaria.

Le cure odontoiatriche pagate in contanti non danno diritto alla detrazione IRPEF

Dal 1° gennaio 2020, chi paga il dentista in contanti non può più ottenere la detrazione IRPEF del 19%. Anche con una fattura in regola, se il pagamento non è tracciabile, l’Agenzia delle Entrate lo esclude dal beneficio. La norma nasce dalla Legge di Bilancio 2020 e ha uno scopo ben preciso: incentivare l’uso di strumenti digitali per contrastare l’evasione fiscale. Ma le conseguenze sono molto concrete, soprattutto per chi affronta spese significative per la propria salute dentale.

Dentiera e banconote
Le cure odontoiatriche pagate in contanti non danno diritto alla detrazione IRPEF-trading.it

Il vincolo riguarda soprattutto le prestazioni sanitarie private, come quelle offerte dai dentisti non convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale. In questi casi, sono validi solo i pagamenti effettuati con carte, bonifici, assegni o altri sistemi tracciabili. Il contante, anche se accompagnato da fattura, azzera ogni possibilità di detrazione. Esistono alcune eccezioni: l’acquisto di farmaci o i servizi resi da strutture pubbliche o accreditate con il SSN non seguono questa regola. Tuttavia, per il dentista privato, la linea è netta e senza scappatoie.

Prove, intestazione e soglie: ciò che serve per non perdere il diritto alla detrazione

Per accedere alla detrazione delle spese odontoiatriche, è fondamentale che la fattura sia intestata al contribuente e che il pagamento sia documentato. Anche se a pagare è un familiare, il diritto resta, a patto che ci sia una connessione chiara tra chi detrae e chi paga. Prove come l’estratto conto, lo scontrino del POS o la ricevuta del bonifico sono indispensabili. Senza di esse, anche una spesa giustificata può risultare non detraibile.

Un altro dettaglio da non trascurare è la franchigia. Le spese sanitarie sono detraibili solo nella parte che eccede i 129,11 euro. Solo oltre questa soglia si calcola il 19%. Per chi affronta cure dentistiche, spesso costose, è facile superare questo limite, ma la documentazione resta il punto critico.

Attenzione, quindi, non solo a quanto si spende, ma soprattutto a come si paga. In tempi in cui ogni euro conta, perdere un beneficio fiscale per un dettaglio formale è un errore che si può evitare. Basta poco: una carta, una ricevuta, un bonifico. È tutto lì, in un gesto quotidiano che può fare la differenza.

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