Una stagione che non passa inosservata per chi vive o osserva i mercati: un periodo dell’anno che, tra numeri e sensazioni, continua a sorprendere. Un equilibrio sottile tra attesa e azione, tra silenzio e improvvisa vivacità, che nei decenni ha lasciato tracce misurabili e racconti avvincenti. Un fenomeno che si ripete senza far rumore, ma che puntualmente riaccende l’interesse di analisti e investitori. Nelle statistiche si nasconde un ritmo preciso, nei fatti quotidiani la conferma di un cambio di passo. E se fosse proprio questa la fase in cui il mercato mostra il suo lato più interessante?
C’è un momento dell’anno in cui i grafici cambiano espressione. Non serve essere esperti per accorgersi che, in certi mesi, la direzione sembra più decisa, la fiducia più solida, i movimenti più coerenti. È un passaggio che inizia quasi in sordina: le giornate si accorciano, l’aria si fa più frizzante, e nei listini qualcosa comincia a muoversi con maggiore energia. Non è magia, ma nemmeno un caso isolato.

È un fenomeno che ha radici profonde, tanto nei dati storici quanto nelle dinamiche psicologiche che, silenziosamente, plasmano il comportamento collettivo degli operatori. E in questo intreccio tra calendario e mercati, si crea una combinazione che da decenni attira attenzione e analisi. Chi guarda ai numeri vede pattern chiari; chi vive le sale operative percepisce un’atmosfera diversa. Un equilibrio sottile, che non si lascia afferrare del tutto, ma che continua a ripresentarsi con una puntualità quasi rituale.
Il fenomeno nei dati: la stagione fredda dei rendimenti
Studi condotti su oltre un secolo di mercati, confermati da analisi più recenti, mostrano come i mesi tra novembre e aprile tendano a registrare rendimenti mediamente superiori rispetto al semestre estivo. Non si tratta di oscillazioni marginali: le differenze si misurano spesso in un guadagno aggiuntivo di 4-6 punti percentuali.

Negli ultimi cinquant’anni, il divario si è perfino ampliato, con il periodo freddo che in media supera nettamente quello caldo sia per rendimento che per frequenza di chiusure positive. In borsa, l’effetto è conosciuto come Halloween effect, legato al vecchio adagio “Sell in May and go away”. Le ragioni? Una combinazione di fattori: il rientro in attività di grandi operatori dopo le pause estive, la definizione dei piani di investimento per il nuovo anno, la maggiore liquidità che torna a circolare, e persino l’ottimismo delle festività di fine anno, noto come Santa Claus rally. Negli Stati Uniti, l’S&P 500 dal 1990 a oggi ha registrato nei mesi freddi una crescita media del 6-7%, contro il 2-3% dei mesi caldi. Numeri che, pur non garantendo certezze, delineano un quadro ricorrente e sorprendentemente stabile.
Oltre le statistiche: psicologia e dinamiche di mercato
Dietro i grafici, ci sono storie meno visibili ma altrettanto decisive. Il cosiddetto gone fishin’ effect descrive bene ciò che accade d’estate: volumi ridotti, meno scambi, maggiore volatilità e un generale rallentamento. Con l’autunno, le scrivanie tornano a riempirsi, le agende si popolano di meeting e strategie, e il mercato respira a pieni polmoni. La spinta non è solo tecnica: il clima stesso delle festività e la necessità di centrare obiettivi annuali alimentano una propensione all’azione più marcata. Gli investitori, individuali e istituzionali, si muovono in modo più deciso, e questa energia collettiva si riflette nei listini. L’andamento positivo di novembre e dicembre, registrato in molti indici globali, non è quindi un’anomalia momentanea ma l’espressione di una ciclicità che unisce dati e comportamenti. La vera domanda è se, in un contesto di mercati sempre più interconnessi e rapidi, questa stagione favorevole continuerà a ripetersi con la stessa forza, o se i cambiamenti strutturali finiranno per attenuarne l’effetto. Per ora, le statistiche parlano chiaro: quando il calendario segna il passaggio all’inverno, i mercati tendono ad alzare il volume.