Quando un genitore viene a mancare, oltre al dolore, arrivano anche le domande concrete. E spesso quella più difficile da affrontare è una: l’eredità va divisa a metà tra i figli, oppure chi ha accudito il genitore ha diritto a qualcosa in più? Questa situazione accade molto più spesso di quanto si pensi, e le risposte non sono sempre intuitive. Tra affetto, cura, e legge, il confine può diventare sottile. Ma la legge italiana ha regole molto precise, e conoscere come funziona la successione può fare la differenza tra un accordo sereno e un conflitto familiare difficile da risolvere.
La successione ereditaria non è solo una questione economica: entra nel cuore dei rapporti familiari. C’è chi si è fatto carico delle visite mediche, chi ha affrontato le notti in ospedale, chi ha gestito la casa e chi, magari per distanza o altri impegni, è rimasto più defilato. Quando arriva il momento di dividere l’eredità del padre tra fratelli, la domanda sorge spontanea: chi ha fatto di più, ha diritto a di più?

La legge, però, guarda le cose in modo diverso da come le guarda il cuore. Non considera le attenzioni o il tempo speso come criteri per aumentare la quota di eredità. E questo può spiazzare, soprattutto se ci si aspettava un riconoscimento maggiore per l’impegno prestato.
Fratelli ed eredità: conta l’impegno o vale solo la legge?
Secondo il Codice Civile italiano, quando un padre muore senza lasciare testamento, il suo patrimonio si divide in parti uguali tra i figli. Non importa quanti siano o se uno ha fatto di più per lui negli ultimi anni. La legge considera tutti i figli sullo stesso piano. Un esempio concreto: se un padre lascia 90.000 euro e ha due figli, a ciascuno spettano 45.000 euro, anche se uno dei due ha vissuto con lui e lo ha accudito fino all’ultimo giorno.

Cosa cambia se c’è un testamento? Il genitore può scegliere di destinare la quota disponibile a uno solo dei figli, magari proprio per riconoscere l’impegno avuto. Ma deve comunque rispettare la quota di legittima: se ci sono due figli, almeno 60.000 euro (i due terzi del patrimonio) devono essere divisi equamente, mentre solo i restanti 30.000 euro possono essere lasciati a uno solo.
Prendiamo Marco, che ha due figli e lascia un patrimonio di 120.000 euro. In vita, uno dei figli ha vissuto con lui e lo ha assistito, l’altro si è tenuto più distante. Marco può, con testamento, lasciare 30.000 euro della quota disponibile al figlio che si è preso cura di lui. Il resto, 60.000 euro (30.000 ciascuno), va diviso obbligatoriamente tra entrambi. In totale, il figlio che ha assistito Marco riceverà 60.000 euro, l’altro 30.000.
È possibile chiedere più soldi per le cure prestate?
La risposta è: non direttamente attraverso l’eredità. Tuttavia, ci sono due strade. La prima è un accordo scritto in vita, con cui il genitore può riconoscere economicamente l’impegno del figlio che lo assiste. La seconda è agire in giudizio per un indebito arricchimento, ma è una via complessa e spesso rischiosa. Serve dimostrare che l’assistenza prestata è andata oltre il normale legame familiare, come nel caso di un impegno costante e sostitutivo di un’assistenza professionale.
Un esempio concreto: Laura ha accudito la madre malata per cinque anni, rinunciando al lavoro. Dopo la morte della madre, il fratello, che viveva all’estero, pretende metà dell’eredità. In assenza di testamento, ha diritto alla metà. Laura potrebbe però tentare di dimostrare che le cure prestate hanno comportato un sacrificio straordinario, e chiedere un risarcimento economico separato, anche se la strada non è semplice.
In sostanza, quando si tratta di dividere l’eredità tra fratelli, il cuore e la legge spesso non viaggiano insieme. Per evitare conflitti, la cosa migliore è parlarne in vita, chiarendo intenzioni e aspettative, anche tramite testamento. L’amore di un figlio non si misura in denaro, ma un piccolo gesto scritto può fare molto per evitarne la svalutazione dopo la morte