È davvero equo pagare di più per sistemare ciò che serve a vivere meglio? Un recente chiarimento fiscale ha acceso i riflettori su un tema tutt’altro che marginale: l’IVA agevolata sugli apparecchi acustici non si applica alla manutenzione. Un dettaglio tecnico che, per chi affronta la sordità ogni giorno, diventa una questione concreta di accessibilità e diritti.
Non si tratta di interpretazioni vaghe o zone grigie. La risposta dell’Agenzia delle Entrate è chiara e formale, ma lascia spazio a interrogativi profondi. La legge, in effetti, non sempre riesce a tenere il passo con le reali esigenze di chi si affida alla tecnologia per riconnettersi al mondo.

Un apparecchio acustico non è un semplice dispositivo elettronico. Per molti, è ciò che consente di partecipare a una conversazione, di sentire una voce amata, di lavorare, socializzare, vivere. Eppure, quando quel dispositivo si rompe, la normativa fiscale sembra dimenticare quanto sia indispensabile.
Con la risposta n. 8 del 15 luglio 2025, l’Agenzia ha ribadito che l’IVA al 4% è riservata alla vendita del prodotto nuovo. Le riparazioni, invece, restano soggette all’aliquota ordinaria del 22%. Una distinzione netta, che ha suscitato reazioni accese, soprattutto da parte di chi sperava in un’interpretazione più inclusiva.
Perché la legge distingue tra acquisto e riparazione di un apparecchio acustico, e cosa significa davvero
L’origine della questione è tutta in una norma precisa: la Tabella A, parte II, allegata al DPR 633/1972. Qui si stabilisce che le cessioni di protesi acustiche beneficiano dell’IVA agevolata al 4%. La parola chiave è “cessione”: cioè vendita, non manutenzione o assistenza tecnica.

Nel tempo, vari documenti ufficiali hanno confermato questa lettura. Già nel 1987, con la Circolare 87, l’Agenzia delle Entrate affermava che le operazioni di riparazione rientrano tra le prestazioni di servizi, quindi soggette all’IVA ordinaria. La stessa posizione è stata ribadita nel 2002 in tema di veicoli adattati per disabili: solo le componenti dedicate alla disabilità godevano dell’aliquota ridotta.
Un altro tentativo di estensione dell’agevolazione è stato fatto appellandosi all’articolo 16 del DPR 633/1972, che prevede l’applicazione dell’aliquota del bene anche a certe lavorazioni. Ma anche qui, la risposta dell’Agenzia è stata netta: la norma si applica solo quando si produce o adatta un bene, non alle semplici riparazioni.
Riparare costa (molto) di più: l’IVA al 22% pesa su chi ha bisogno continuo di assistenza tecnica
Nel concreto, questo significa che ogni intervento di manutenzione su un apparecchio acustico – anche il più piccolo – è tassato al 22%. Per le persone con disabilità uditiva, non si tratta di un dettaglio. La funzionalità dell’apparecchio è essenziale e spesso necessita di interventi tecnici ricorrenti.
Chi fornisce questi dispositivi deve districarsi tra aliquote diverse, distinguendo con precisione tra vendita e assistenza. Un errore può portare a sanzioni fiscali e malumori da parte dei clienti, che si trovano a pagare di più per qualcosa che considerano parte integrante del proprio benessere.
La questione va oltre la contabilità. L’IVA agevolata sugli apparecchi acustici dovrebbe forse essere rivista in un’ottica più ampia. Se il dispositivo è un bene sanitario, perché il suo corretto funzionamento non dovrebbe essere trattato alla stessa stregua?
Alcune associazioni si sono già mosse per chiedere una modifica normativa. Non una concessione, ma il riconoscimento che salute e autonomia non si esauriscono al momento dell’acquisto, ma continuano nel tempo, anche attraverso l’assistenza tecnica.