E se un lavoro part-time ti facesse perdere l’assegno di mantenimento? Una sentenza della Cassazione ha fatto tremare molti ex coniugi. Gianfranco e Giuseppina, separati da poco, si trovano improvvisamente a fare i conti con una realtà inaspettata.
Lei lavora part-time da anni, lui non si è mai fermato. Ma qualcosa è cambiato: la legge ora dice che l’impegno personale conta. E non poco. Potrebbe davvero bastare una scelta lavorativa per rinunciare a un diritto economico così importante?
Gianfranco e Giuseppina si sono separati dopo vent’anni di matrimonio. Nessun tradimento,

nessuna lite furiosa: solo una lenta distanza che è diventata definitiva. Quando hanno firmato gli accordi, Giuseppina era certa che avrebbe ricevuto un assegno di mantenimento, contando sul suo stipendio part-time, troppo basso per vivere dignitosamente. Ma qualcosa ha cambiato il corso delle cose: il loro avvocato ha parlato loro di una sentenza fresca di Cassazione, l’ordinanza n. 5242/2024, che sembrava cucita su misura per il loro caso.
Da anni, Giuseppina lavorava mezza giornata. I figli, ormai adulti, non avevano più bisogno delle sue attenzioni costanti, ma lei aveva scelto comunque di restare nel part-time. Per abitudine, per comodità. Gianfranco, invece, ha continuato a lavorare a tempo pieno. Quando ha saputo della richiesta di mantenimento, ha deciso di opporsi. E la giustizia, questa volta, ha dato ragione a lui.
Il mantenimento non è garantito a chi lavora part-time per scelta
La Corte di Cassazione ha stabilito un principio che cambia profondamente il concetto stesso di assegno di mantenimento: non è più sufficiente trovarsi in difficoltà economica. È fondamentale dimostrare che quella situazione non sia frutto di una scelta personale. Se un ex coniuge è in grado di lavorare a tempo pieno ma decide volontariamente di non farlo, non può pretendere un aiuto economico permanente.
Nel caso discusso, la richiedente era laureata, in salute e con figli ormai indipendenti. Nessun ostacolo, quindi, a un impiego più completo. Ma aveva preferito mantenere l’orario ridotto. Una decisione del tutto legittima, ma non sufficiente per ottenere l’assegno di mantenimento. I giudici hanno sottolineato l’obbligo di ogni persona separata a cercare la propria autonomia economica, quando ne ha le possibilità concrete.

Gianfranco, sentendosi trattato ingiustamente, ha chiesto che fosse riconosciuto il diritto di non dover sostenere economicamente chi non si impegna per migliorare la propria condizione. E il giudice ha accolto la richiesta: nessun accordo pregresso tra i due giustificava il part-time, nessuna prova che la scelta fosse stata presa per esigenze familiari. Solo una decisione personale. E in assenza di reali impedimenti, la Cassazione ha detto no all’assegno.
Questa storia lascia spazio a una riflessione ampia: è giusto ricevere un sostegno economico se si ha la possibilità di evitarlo? E quante persone, oggi, potrebbero trovarsi nella stessa situazione senza nemmeno saperlo?