Grazie alle sentenze consolidatisi nel tempo, si può gestire meglio il rapporto con il Fisco: il risparmio pregresso è la chiave.
Se ci sono dei versamenti in contanti sul conto, è necessario provare al Fisco che si tratta di risparmio pregresso o di donazione. Il controllo su redditi non dichiarati è mirato, ecco come dimostrare il contrario con prove adeguate.

È l’art. 32 del DPR n. 600/1973, ex art 51 DPR n. 633/1972 per l’IVA a determinare il controllo sui versamenti in contante. La normativa stabilisce una presunzione legale relativa ai dati dei conti correnti bancari posti in base ad accertamenti. Questo a meno che il contribuente non dimostri di aver tenuto conto nel determinare il reddito imponibile o non abbia rilevanza fiscale.
L’onere della prova è invertito. Non è il Fisco a dover dichiarare che i soldi sono reddito imponibile, ma il contribuente. Ma quale tipo di prova bisogna fornire?
Deve essere precisa, fornendo una dimostrazione puntuale di ogni singolo versamento posto in essere. Da qui, è necessario indicare la riferibilità delle operazioni bancarie, dimostrando che non si tratti di operazioni imponibili. Questa deve anche avere il carattere delle rigorosità, quindi la valutazione per ogni operazione è essenziale.
Da constatare anche che potrebbe venire considerata una prova contraria, data mediante presunzioni semplici, ma se sono gravi, coerenti e specifiche, valgono eccome.
Come gestire il risparmio pregresso e il rapporto con il Fisco, indicazioni
Ma come comportarsi per gestire in maniera efficace il tema del risparmio pregresso e mantenere ottimi rapporti con il Fisco? La giurisprudenza dà la risposte che servono.

Dimostrare che grandi somme in contanti provengano da risparmi accumulati, non è facile. Anche perché è più che lecito domandarsi come mai non siano stati depositati in banca.
Ci sono delle sentenze negative, come la n. 878/2022 della CGT di Firenze, la quale ha respinto la difesa di un contribuente che non aveva dimostrato la tassazione dei fondi, né posto in essere le dovute dichiarazioni. La giustificazione prima è stata quella di parlare di “abitudini ataviche”, cioè di natura personale, ma poco credibile nei fatti. Situazione simile posta nella sentenza n. 25/2022 della CGT di Verbania.
Per convincere il fisco bisogna documentare e provare l’origine delle fonti e la capacità di accumulare risparmio nel tempo.
Giustificare perché e come si ha del contante non è semplice. C’è stata una sentenza della CGT Reggio Calabria, la n. 2037/2024 che ha ricevuto come motivazione la “paura di estorsioni”, ma anche qui non si può parlare con certezza.
Dimostrare che i fondi del donante sono usciti dal suo patrimonio, che poteva farlo, e l’avere una data certa di questa operazione, sono una certezza. La scrittura all’ADE o scambio di PEC, sono strumenti molto importanti, specie per le donazioni. Quelle non di modico valore necessitano di un atto pubblico notarile con due testimoni, quelle di modico valore no, mentre quelle indirette seppur non richiedano un atto pubblico, la provenienza del denaro deve essere provata.