Un dolore alla schiena che non lascia tregua, formicolii costanti, fatica anche solo a camminare. A volte non è solo una questione di postura o stress. Dietro quei sintomi si nasconde una patologia vera, che può trasformare la vita quotidiana in una sfida. Ma fino a che punto può essere riconosciuta come una vera invalidità? E l’ernia del disco rientra davvero tra le patologie che danno diritto all’invalidità civile?
Molti si pongono questa domanda dopo mesi di cure, visite specialistiche, tentativi di recupero. Eppure non basta avere una diagnosi scritta nero su bianco per accedere alle tutele previste per legge. La questione è più sottile, e riguarda quanto quella condizione incide davvero sulla funzionalità del corpo, sulla capacità di svolgere attività semplici, sul mantenere un lavoro.

Ed è qui che entrano in gioco criteri precisi, valutazioni tecniche e norme ancora in vigore dagli anni ’90, aggiornate da circolari INPS e sentenze.
Ogni caso è diverso, e il riconoscimento dell’invalidità non è mai automatico. Bisogna dimostrare che l’ernia ha provocato limitazioni importanti e stabili. Solo così si può arrivare a percentuali utili per ottenere un assegno o una pensione.
Come viene valutata l’ernia del disco nell’invalidità civile
Nelle tabelle ministeriali usate per calcolare l’invalidità civile, l’ernia del disco non è indicata in modo diretto. Questo non significa che non venga considerata, ma che deve essere valutata per analogia con altre patologie simili della colonna vertebrale. Il riferimento normativo è il D.M. 5 febbraio 1992, ancora oggi vincolante, anche dopo le riforme del 2021 e le linee guida più recenti.

La commissione medica esamina quanto l’ernia incide sulla vita quotidiana. Per esempio, se ci sono rigidità permanenti, difficoltà nei movimenti o danni neurologici stabili, si può arrivare anche al 40%. Se invece i sintomi sono solo intermittenti e non ci sono deficit obiettivi, le percentuali restano basse. Non conta il nome della diagnosi, ma le sue conseguenze concrete: forza ridotta, dolore cronico, limitazioni nella postura.
Nei casi più gravi, come recidive o complicanze post-operatorie con paraparesi, si può arrivare anche al 100% di invalidità. Ma serve una documentazione precisa: risonanze magnetiche, test neurologici, referti specialistici. Senza prove chiare e aggiornate, il riconoscimento resta difficile, anche con sintomi evidenti.
Quando l’ernia del disco può dare diritto a un assegno o una pensione
Per accedere alle prestazioni economiche dell’invalidità civile, la percentuale riconosciuta deve essere almeno del 74%. È questa la soglia minima per ottenere l’assegno mensile, compatibile anche con attività lavorative, purché entro certi limiti di reddito. La pensione di inabilità richiede invece il 100%, oltre a un reddito personale molto basso.
Chi ha subito un’operazione alla colonna e ha ancora gravi deficit può avere diritto a entrambe le prestazioni, oltre all’eventuale indennità di accompagnamento se non autosufficiente. Ma chi ha solo dolore, anche se persistente, difficilmente supera le soglie previste. La legge considera più i limiti funzionali che il dolore soggettivo.
Il percorso di riconoscimento richiede tempo, visite, verifiche. Ma per chi vive ogni giorno con una limitazione reale, è anche un’opportunità di tutela. Non tutti i casi di ernia discale portano a una invalidità riconosciuta, ma quando gli effetti sono gravi e permanenti, la legge prevede strumenti concreti per aiutare chi ne ha davvero bisogno. E la valutazione resta sempre un fatto individuale, costruito su esami, storia clinica e impatto sulla vita quotidiana.
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