Molti ne parlano, pochi ne comprendono davvero gli effetti: il bonus Giorgetti può sembrare una manna dal cielo, ma nasconde conseguenze importanti sulla futura pensione. Si riceve più denaro subito in busta paga, senza tasse, ma in cambio si rinuncia a qualcosa che potrebbe pesare nel lungo periodo. Non si tratta solo di numeri: è una scelta che tocca direttamente il futuro economico di chi sta per andare in pensione, ma decide di restare al lavoro. Chi fa questo passo, spesso lo fa senza conoscere tutta la verità su come cambierà l’importo della pensione. E non sempre ciò che sembra vantaggioso oggi, lo sarà anche domani.
Ogni mese qualche centinaio di euro in più in busta paga, un incentivo pulito che non si somma al reddito e non viene tassato. Il bonus Maroni, previsto dalla Legge 197/2022 e confermato dall’ultima legge di bilancio, è riservato a chi decide volontariamente di continuare a lavorare, pur avendo già i requisiti per la pensione anticipata.

A prima vista, sembra un modo intelligente per massimizzare il proprio stipendio, specie in un momento di incertezza economica. Ma la scelta comporta anche delle rinunce, a partire dal fatto che quei contributi non versati non andranno ad arricchire la pensione futura. E questo aspetto spesso viene ignorato o sottovalutato, lasciando spazio a brutte sorprese al momento del pensionamento.
Il bonus Giorgetti fa salire lo stipendio subito ma riduce l’importo della pensione futura
Chi sceglie il bonus Giorgetti rinuncia a versare all’INPS la propria parte di contributi previdenziali, che vengono invece corrisposti direttamente come aumento netto in busta paga. Questo significa più soldi subito, senza trattenute fiscali. Si tratta in media del 9,19% della retribuzione lorda mensile: su uno stipendio da 2.000 euro lordi, sono circa 180 euro netti al mese, che diventano oltre 2.000 euro l’anno. Ma questo importo non va ad accrescere il montante contributivo, ovvero quella base su cui si calcola la futura pensione. E qui cominciano le valutazioni da fare con attenzione.

Secondo stime dell’INPS, chi utilizza il bonus per due o tre anni può vedere ridotto l’assegno pensionistico finale di circa il 3-5%, a seconda dell’importo dei mancati versamenti e della durata dell’adesione all’opzione. Non è un taglio drastico, ma nemmeno trascurabile. E se nel frattempo si verificano eventi inattesi – come una crisi economica o un peggioramento della salute – ci si può trovare con meno risorse disponibili a lungo termine. In sostanza, il bonus può aiutare nel presente, ma ha un impatto concreto sul futuro.
Una scelta libera e senza vincoli ma da valutare con attenzione prima della pensione
Il bello del bonus Maroni è che non impone obblighi: si può accettare per un anno e poi smettere, oppure andare avanti fino alla pensione di vecchiaia. Non ci sono limiti rigidi, salvo il fatto che non si può utilizzare oltre i 67 anni. Questo lo rende uno strumento molto flessibile, adatto a chi vuole gestire in autonomia il passaggio alla pensione. Ma proprio questa libertà richiede consapevolezza: non si tratta solo di prolungare il lavoro, ma di modificare la traiettoria della propria pensione.
Nel settore privato, attivare il bonus è piuttosto semplice e richiede solo una comunicazione al datore di lavoro, che provvede a trasmettere i dati all’INPS. Nel pubblico impiego, invece, serve l’accordo dell’amministrazione. In entrambi i casi, è fondamentale informarsi prima sui reali effetti dell’opzione. Ogni situazione è diversa, e non esiste una risposta uguale per tutti. Per qualcuno può rappresentare un’opportunità concreta per migliorare il presente. Per altri, un rischio per la stabilità futura.
Rinunciare oggi a una parte di contributi significa rinunciare a una parte della pensione di domani. Vale la pena? Dipende da obiettivi, prospettive e necessità personali. Ma è una decisione da prendere solo con tutti gli elementi sul tavolo.