Chi possiede un immobile gravato da mutui o tasse arretrate potrà presto rinunciarvi più facilmente, ma i debiti resteranno. La nuova normativa semplifica l’abbandono dei beni indesiderati, evitando al proprietario spese di gestione e manutenzione, ma non lo libera dai carichi fiscali pregressi.
La questione degli immobili indesiderati è sempre più frequente in Italia. Case ereditate, terreni in disuso o fabbricati fatiscenti rappresentano per molti un peso economico più che un patrimonio. Con la riforma del Codice civile e le modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 216/2023, il legislatore ha introdotto una novità significativa: la possibilità per il proprietario di rinunciare alla proprietà di un bene immobile quando non desidera più mantenerne il possesso. Si tratta di un cambiamento storico, che punta a risolvere il problema dei cosiddetti “beni abbandonati” o di scarso valore, spesso situati in piccoli centri o aree rurali.

Secondo i dati diffusi dal Consiglio Nazionale del Notariato, in Italia esistono oltre 500.000 immobili non utilizzati e privi di mercato, gravati da spese fiscali o condominiali che i proprietari non riescono più a sostenere. La rinuncia, tuttavia, non comporta l’automatica cancellazione dei debiti accumulati: imposte arretrate, cartelle esattoriali o mutui ipotecari continuano a essere dovuti, anche se l’immobile viene abbandonato.
Come funziona la rinuncia alla proprietà e cosa prevede la nuova norma
La nuova disciplina si fonda sull’articolo 832 del Codice civile, aggiornato per consentire la dichiarazione di rinuncia al diritto di proprietà di un bene immobile, purché l’atto venga formalizzato da un notaio e trascritto nei registri immobiliari. In base alle indicazioni del Ministero della Giustizia, la rinuncia diventa efficace solo dopo la comunicazione al Comune competente, che può accettare o rifiutare l’acquisizione del bene nel proprio patrimonio. L’obiettivo è evitare che i beni abbandonati restino privi di gestione, creando degrado o pericoli.

Se il Comune non accetta, il bene entra nel patrimonio dello Stato. Restano però in capo al precedente proprietario eventuali obblighi fiscali o pendenze pregresse, che non si estinguono con la rinuncia. È quindi possibile disfarsi di un immobile, ma non dei debiti accumulati in precedenza.
Esempi pratici e implicazioni economiche per i proprietari
Un esempio pratico è quello di chi eredita un immobile fatiscente in un piccolo comune, con un valore catastale molto basso ma con imposte locali e spese di manutenzione elevate. Prima della riforma, l’unica via era il mancato pagamento dell’IMU o l’abbandono di fatto, con rischio di pignoramento o procedimenti per inadempienza fiscale. Con la nuova normativa, invece, il proprietario può rinunciare formalmente alla titolarità e liberarsi dagli oneri futuri, mantenendo però la responsabilità per le tasse e i debiti pregressi. I notai segnalano che la procedura è particolarmente utile nei casi di eredità non volute o di immobili in comproprietà tra più soggetti, dove l’unanimità sulle decisioni è difficile da raggiungere.
Gli esperti del Consiglio Nazionale Forense sottolineano che l’istituto non deve essere visto come una “sanatoria” per i debiti, ma come uno strumento di gestione responsabile del patrimonio, volto a ridurre il numero di immobili abbandonati. In prospettiva, la misura potrà alleggerire i bilanci comunali e ridurre i contenziosi fiscali legati a immobili di scarso valore economico.