Un anno di lavoro mai riconosciuto può sembrare perso per sempre. Eppure, oggi esistono strumenti che permettono di trasformarlo in contributi validi per la pensione. Non si tratta di cavilli tecnici, ma di opportunità concrete per anticipare l’uscita dal lavoro o ottenere un assegno più alto. I tempi però sono stretti: certe possibilità hanno una scadenza precisa e, una volta passata, non tornano più. Conoscere le regole significa decidere consapevolmente se e come sfruttarle.
Molti hanno nel proprio passato periodi lavorativi senza contributi versati. Spesso era la norma: collaborazioni coordinate e continuative degli anni ’80 e ’90 non sempre prevedevano obbligo contributivo. Altri hanno vuoti contributivi più recenti, dovuti a interruzioni, lavori saltuari o periodi all’estero.

Oggi questi spazi vuoti possono essere colmati, ma servono i requisiti giusti e la volontà di affrontare un costo che, in parte, rientra grazie ai benefici fiscali.
Riscatto dei periodi prima del 1996: dare valore a lavori dimenticati
Il riscatto dei periodi pre-1996 riguarda chi ha svolto attività senza contributi prima del 1° aprile 1996. L’importo si calcola con il sistema retributivo e la cosiddetta riserva matematica, che tiene conto della retribuzione di allora e dell’età attuale.

Mario, ad esempio, nel 1993 era collaboratore in uno studio tecnico senza versamenti INPS. Oggi, pagando la somma calcolata, quei mesi vengono riconosciuti e diventano parte del suo montante contributivo. Questo gli permette di avvicinarsi alla pensione anticipata.
Anche Anna, che nel 1994 lavorava in una redazione come collaboratrice occasionale, si è trovata nella stessa situazione. Riscattando un anno intero, ha potuto anticipare di dodici mesi l’uscita dal lavoro, evitando di attendere i 67 anni previsti per la vecchiaia.
La domanda può essere presentata online tramite il portale MyINPS, via contact center o con l’assistenza di un patronato. Il pagamento si può effettuare in un’unica soluzione oppure a rate fino a 120 mensili, senza interessi. Gli importi versati sono interamente deducibili dall’IRPEF, riducendo il costo reale dell’operazione.
Pace contributiva: colmare i vuoti tra il 1996 e il 2023
La pace contributiva è una misura temporanea, valida fino al 31 dicembre 2025, che consente di riscattare fino a cinque anni privi di contributi, purché rientrino tra il 1° gennaio 1996 e il 31 dicembre 2023. Si applica a chi, al 31 dicembre 1995, non aveva contributi versati e non è titolare di pensione. In questo caso il calcolo avviene con il sistema contributivo, applicando l’aliquota in vigore alla data della domanda.
Lucia, ad esempio, ha tre anni scoperti tra il 2000 e il 2010. Con la pace contributiva li recupera, pagando un importo basato sull’aliquota attuale. Questo le consente di maturare i requisiti cinque anni prima e aumentare l’assegno mensile.
Roberto, freelance tra il 2015 e il 2018 senza iscrizione a nessuna gestione, utilizza la stessa procedura per riscattare quei periodi. Sceglie il pagamento in 120 rate mensili senza interessi, rendendo sostenibile l’operazione.
E poi c’è Giulia, che tra il 2001 e il 2006 ha interrotto la carriera per motivi familiari. Presentando domanda oggi, recupera tutti e cinque gli anni, ottenendo così un doppio vantaggio: pensione anticipata e importo mensile più alto.
Anche per la pace contributiva la domanda si presenta online, via contact center o tramite patronato. Il pagamento, come per il riscatto, è interamente deducibile dall’IRPEF e può essere dilazionato fino a 120 rate senza interessi.
La differenza tra i due strumenti è netta: il riscatto valorizza periodi di lavoro anteriori al 1996, la pace contributiva colma vuoti successivi fino al 2023. Le procedure sono simili, ma cambiano destinatari e criteri di calcolo. In entrambi i casi, si tratta di scelte che incidono in modo diretto sul futuro previdenziale, trasformando anni dimenticati in contributi concreti.