Quando si pensa alla pensione di reversibilità, ci si immagina un diritto certo, una tutela destinata a chi resta. Ma le cose non stanno più così. Una svolta decisa della Cassazione sta riscrivendo le regole e molti superstiti rischiano di ritrovarsi con meno certezze di quanto si credesse. Cambiano i criteri, si alza l’asticella delle verifiche e l’INPS ora ha la facoltà di opporsi con più forza. Questo cambiamento non è teorico, ma pratico e concreto: riguarda le persone, le famiglie, i conti quotidiani.
La morte di un coniuge è sempre un momento delicato, e quando a questa si aggiungono complicazioni burocratiche o dubbi su diritti economici, il carico può diventare davvero pesante. La pensione di reversibilità, da sempre considerata una forma di protezione automatica, oggi è sottoposta a nuove interpretazioni che la rendono meno scontata. Non basta più appartenere alla categoria dei superstiti: oggi occorrono requisiti chiari, tempi precisi e documentazione accurata.

La Cassazione, nelle sue ultime pronunce, ha stabilito criteri più stringenti per il riconoscimento del diritto, lasciando maggiore discrezionalità ai giudici e più margini all’INPS per sollevare eccezioni. In particolare, vengono rivalutati aspetti come la durata del matrimonio, la presenza di assegni divorzili e lo stato economico effettivo. Tutto ciò cambia profondamente la prospettiva con cui va affrontata una richiesta di reversibilità.
La Cassazione cambia il significato stesso della pensione di reversibilità e impone nuove regole più rigide da rispettare
Secondo le recenti sentenze, l’accesso alla pensione di reversibilità non è più un automatismo. L’INPS ha la possibilità di eccepire la mancanza di requisiti e soprattutto la prescrizione di alcune rate. La prescrizione decennale, infatti, può far perdere arretrati preziosi se la domanda viene presentata troppo tardi. È fondamentale che la richiesta venga fatta tempestivamente, altrimenti si rischia di vedersi negare una parte significativa delle somme spettanti.

Le novità non finiscono qui. Quando c’è un ex coniuge divorziato, il giudice deve valutare elementi precisi: quanto è durato il matrimonio, se c’è un assegno divorzile in corso e qual è la reale condizione economica di entrambe le parti. In casi complessi, la Corte ha autorizzato una ripartizione flessibile delle quote, in base a principi di equità. Il risultato è che ogni caso diventa unico e dipende fortemente dalle prove presentate.
Infine, la Cassazione ha escluso il cosiddetto diritto “a cascata”. Se a morire è chi già percepiva una reversibilità, i suoi superstiti non possono avviare automaticamente un nuovo diritto. Questo principio rafforza l’idea che la reversibilità sia legata alla posizione previdenziale originaria e non si trasmetta come una normale eredità.
Le categorie più a rischio che potrebbero vedersi negata o ridotta la pensione di reversibilità dopo le nuove sentenze
Tra coloro che oggi rischiano di più ci sono i superstiti con redditi consistenti. In questi casi, l’INPS può disporre una riduzione dell’importo o addirittura negare il beneficio, qualora si accerti che il reddito del superstite rende superfluo l’intervento previdenziale. Non è un criterio automatico, ma il reddito assume oggi un peso reale nella valutazione.
Particolarmente esposti anche gli ex coniugi divorziati che non hanno documentato adeguatamente la propria situazione. In assenza di elementi come l’assegno divorzile o la prova del bisogno economico, il rischio di rigetto della domanda è concreto. La Cassazione ha chiarito che le richieste vaghe o prive di prova specifica non sono più tollerabili.
Chi presenta la domanda oltre i limiti di tempo fissati si scontra con il tema della prescrizione. La domanda può essere accolta solo per le rate non prescritte e l’INPS può eccepire la scadenza con maggiore efficacia, grazie al nuovo orientamento giurisprudenziale. Anche in caso di riconoscimento, il diritto decorre dal mese successivo al decesso, ma solo se le condizioni sono tutte dimostrate e in presenza di una decisione formale.
Infine, va ricordato che esistono limiti alle riduzioni. La Corte Costituzionale ha chiarito che la pensione non può essere annullata del tutto e, se l’importo scende sotto il minimo, devono essere applicati i meccanismi di integrazione. In certi casi, la prescrizione può essere riaperta, ad esempio in presenza di nuovi elementi o errori commessi dall’amministrazione.