Gli analisti di S&P fanno i conti sul gas per l’Europa e l’Italia: ecco quanto costa la chiusura di Nord Stream 1

Il conto finanziario della chiusura a tempo indeterminato di Nord Stream 1 si rivelerà sempre meno sostenibile. Questo almeno fino al 2026.

Il caso ha attirato l’attenzione degli analisti S&P Global che considerano uno scenario di base dei prezzi della materia prima e dell’elettricità in Europa, decuplicati nel giro di un anno a 236,3 euro il megawatt ora.

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L’intervento del Governo italiano è stato repentino e deciso; il piano prevede risparmi sul fronte dei consumi urbani e in parte minore industriali, in modo da non intaccare la produzione. Oltre a questo, è stato avviato un piano di investimenti nelle rinnovabili e nel biogas; queste fonti alternative giocheranno il ruolo principale nel sostituire il fabbisogno di gas.

I nuovi fornitori e gli investimenti nelle energie rinnovabili sono i pilastri principali per raggiungere l’indipendenza dal gas russo entro il 2025. Entro tale data e non prima si prevede la totale indipendenza dalle forniture provenienti dal Paese. Il totale delle forniture alternative porterebbe i nuovi flussi di gas da 7,5 miliardi di metri cubi nella seconda metà del 2022 fino agli 11,9 miliardi di metri cubi nel 2024.

Nonostante questo secondo S&P i rischi di liquidità nel settore delle utilities sono aumentati considerevolmente. Questo contesto di prezzi estremi ha innescato massicci movimenti di copertura. Per il momento i governi europei sembrano disposti a supportare il settore, ma le spese non sono sostenibili a lungo termine.

La chiusura di Nord Stream 1 costa all’Europa 1.000 miliardi di euro

La chiusura di Nord Stream 1 costa all’Europa 1.000 miliardi di euro. Quando il gasdotto funzionava a pieno regime erogava 55 miliardi di metri cubi all’anno; all’inizio del 2022, copriva il 12% della domanda in Europa.

La situazione attuale, nonostante l’impegno dei governi, vedrà diminuire notevolmente la solvibilità delle società nel settore dei servizi energetici. Oltre all’aumento dei costi ci sono infatti le riduzioni dei consumi previsti nei piani d’emergenza con conseguente ripercussioni sul fatturato.

Nel 2022 S&P Global ha già effettuato 12 downgrade del rating di queste società in Europa, la stessa cifra del 2020. Il quadro che si presenta ora è di un Ue che deve diventare indipendente per oltre il 75% delle forniture che provenivano dalla Russia. La metà che al momento è stata compensata aumentando le importazioni di GNL lascia ancora aperte le vulnerabilità per il resto delle forniture della Russia.

Pochi sanno infatti che la chiusura di Nord Stream 1 in realtà riduce solo di un quarto la quantità delle forniture globali russe. Un terzo di queste che arriva dall’Ucraina è la prima a rischio considerata la situazione geopolitica.

L’Italia può compensare il fabbisogno di gas, almeno per quest’anno

Il punto è che, secondo i calcoli degli analisti, dei 170 miliardi di metri cubi di gas che consuma l’Europa all’anno, ne restano circa 20 miliardi scoperti dalle nuove forniture. S&P Global stima che da gennaio 2023 l’Ue rischia di non riuscire a compensare i consumi interni. Il rischio, considerando anche una riduzione importante dei consumi e la riduzione dello stoccaggio al 20% l’industria dovrà necessariamente tagliare la domanda di almeno un quarto. Le conseguenze sono i rischi per la riuscita di un nuovo approvvigionamento il prossimo anno e il taglio forzato della produzione.

I progressi dell’Italia comunque sembrano poter compensare la situazione, almeno per quest’anno. Il Paese ha mostrato una buona capacità di attivarsi per limitare il rischio della carenza di gas nel prossimo inverno. Da un anno all’altro, la Russia ha rappresentato solo il 21% circa delle importazioni totali, rispetto al 40% dello scorso anno.

Grazie a nuovi accordi e al miglioramento della capacità dei gasdotti e delle navi metaniere, l’Italia può contare sulle forniture di GNL proveniente dall’Azerbaigian, dalla Norvegia e dall’Algeria.

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