Prelevi troppo? Il Fisco si potrebbe insospettire, prelevi poco? Si insospettisce lo stesso

La nostra Agenzia delle Entrate viene allertata sia da cifre superiori ai 10.000 euro di prelievo che per spese mensili inferiori alle 700 euro. Vediamo di capire questo meccanismo.

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Far insospettire il Fisco Italiano e magari far scattare una indagine patrimoniale su di noi. C’è di che svegliarsi sudati di tutte con tanto di urlo di terrore.

Forse non tutti sanno che certe dinamiche legate ai prelievi da conto corrente postale o bancario potrebbero fa insospettire il Fisco. Infatti il tenore di vita di un contribuente si basa anche sulla frequenza dei suoi movimenti finanziari. E sulla tempistica e sulla ricorrenza degli importi.

Un esempio di prelievo… sospetto

Facciamo un esempio pratico per capirci meglio: A inizio di ogni mese faccio un prelievo al bancomat di 950 euro e applico sempre questa dinamica per tutto l’anno. Gli ispettori del Fisco potrebbero ragionevolmente ipotizzare che quei soldi mi servono a pagare l’affitto, parzialmente o totalmente in nero, della casa in cui vivo e appunto far scattare un controllo al riguardo.

Ma anche i prelievi sporadici ma continui possono essere rivelatori…

Il Fisco può ipotizzare potenziali comportamenti evasivi anche quando i prelievi da conto corrente bancario o postale sono sporadici ma di importo comunque rilevante.

E’ bene tener presente al riguardo che sopra i 10.000 euro di prelievi da conto corrente in un mese, anche a piccole dosi, la segnalazione scatterà sempre e in maniera automatica con una segnalazione alla direzione centrale dell’istituto di credito in questione che dovrà valutare se procedere con la segnalazione di operazione sospetta. Dandone comunicazione all’UIF (Unità di informazione finanziaria) Nel nostro Paese la UIF è peraltro incaricata non solo di esaminare i flussi finanziari sospetti nell’ottica della prevenzione del riciclaggio di denaro ma anche per la prevenzione del finanziamento del terrorismo.

Non spendete meno di 700 euro al mese, ecco perché…

Il Fisco italiano parte dal presupposto che ogni contribuente necessita di una somma minima da spendere per il sostentamento personale. L’importo minimo (stabilito con la circolare INPS 148/2020 per l’anno in corso) è di 690,42 euro. E’ questa la somma che viene presa in considerazione per soddisfare i bisogni primari e pagare le spese necessarie.

Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate parte dall’assunto che coloro che non prelevino tale somma o che non effettuino pagamenti elettronici per un importo totale prossimo alla cifra indicata dall’INPS possano percepire entrate non dichiarate. Solo i pagamenti in nero, infatti, sarebbero la risposta al quesito del Fisco su come vengono affrontate le spese quotidiane.

Le verifiche del Fisco potrebbero essere quindi attivate nei confronti di coloro che effettuanopochi prelievi di importi considerati non sufficienti per la sopravvivenza.

Occorre, quindi, prestare attenzione non solo ai limiti di importo da non superare verso l’alto per non insospettire il Fisco ma anche a quelli troppo bassi e con tempistiche non considerate congrue.

Come difendersi dagli accertamenti bancari

Le ultime sentenze della Cassazione mostrano un indirizzo oscillante in merito alla necessità di avvisare il contribuente, prima dell’accertamento a seguito di indagine bancaria, per dargli la possibilità di difendersi senza dover per forza ricorrere al giudice. In ogni caso, la linea di difesa, oltre ovviamente al conservare tutte le pezze d’appoggio dell’impiego di denaro prelevato dal conto (o, nel caso di versamento, della fonte dello stesso), è quella di far valere il diritto al cosiddetto contraddittorio preventivo.

Spetta al contribuente fornire la prova contraria alle presunzioni basate sulle indagini bancarie. La prova, che deve essere specifica (non potendo contrapporsi affermazioni generiche), può fondarsi anche su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.

Prelievi e versamenti sui conti intestati ai familiari

La Cassazione ha detto che il rapporto familiare è sufficiente a giustificare il controllo sul conto intestato a un soggetto diverso dal contribuente, e a riferire a quest’ultimo le relative movimentazioni, anche in caso di mancata presentazione della dichiarazione da parte sua. Non è inoltre necessario integrare il contraddittorio con il familiare (in quella circostanza, la moglie) titolare del conto corrente, visto l’utilizzo promiscuo del conto stesso, di cui il contribuente ha l’effettiva disponibilità.

La Cassazione ha affermato in numerose sentenze che il vincolo coniugale o familiare con il contribuente sarebbe sufficiente a estendere il controllo bancario ai conti correnti, perché l’intestazione ai familiari rappresenterebbe un espediente “normale”.

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