L’ordinanza n. 12504/2025 della Cassazione sostiene i lavoratori che hanno difficoltà ad andare in bagno durante il lavoro. Risarcimento e dignità, come farli rispettare.
Nessuna esagerazione, ma ci sono lavoratori che durante l’orario di lavoro non riescono ad andare in bagno. C’è chi non ci va per paura di rimproveri dal datore di lavoro, ma anche chi sostanzialmente non ne ha il tempo, o peggio il “permesso”. Tutti casi in cui per la Cassazione c’è una lesione della dignità umana: la legge non fa sconti.

Risarcimento per il lavoratore che non riesce ad andare in bagno.
È dovere del datore garantire condizioni di lavoro che tutelino la salute dei dipendenti, ed essendo questo un bisogno fisiologico, non esiste che non sia garantito. La salute psico-fisica va tutelata. L’ordinanza n. 12504/2025 della Cassazione ha respinto il ricorso dell’impresa condannata dopo la violazione dei doveri posti all’art. 2087 del Codice civile.
Il datore deve provvedere con ogni mezzo che possiede a salvaguardare i lavoratori, tenendo conto del contesto lavorativo. La pronuncia si origina da un caso concreto in cui diritti e dignità sono stati calpestati.
Si tratta di un lavoratore che durante il turno, non è riuscito ad andare in bagno perché non aveva ricevuto l’autorizzazione del team leader. Condizione frutto di una rigida gestione aziendale. L’urgenza lo aveva portato più volte a digitare il pulsante di emergenza, ma anche a chiedere ad altri responsabili, la risposta?
Nessuna. Per evitare il peggio, è andato lo stesso ai servizi igienici, ma si è comunque “bagnato”. Dopo l’accaduto, il dipendente chiede di potersi cambiare in infermeria, ma anche qui non ottiene quanto spera. Gli rispondono, ma rifiutano la richiesta.
Riuscirà a cambiarsi? L’evento diventa sempre più denigrante e assurdo.
Risarcimento per chi ha difficoltà ad andare in bagno durante il lavoro
Il lavoratore rimane “bagnato” fino alla pausa pranzo, unico momento in cui riuscirà a cambiarsi, ma sotto gli occhi dei colleghi, si cambia in corridoio. Quanto accaduto ha delle amare conseguenze per chi non rispetta la dignità umana.

Sia i giudici di primo che di secondo grado ritengono che ci sia stata una violazione del dovere di tutela dall’azienda con tanto di lesione alla dignità del lavoratore.
Questo dovrà essere risarcito di 5 mila euro per il danno non patrimoniale. Anche perché i giudici di merito esprimono che la “necessità fisiologica” di un dipendente, non era qualcosa di eccezionale, per cui l’evento è stata manifesta espressione di una carenza di organizzazione datoriale.
L’azienda si difende con il ricorso e affermando che quanto successo, fosse imprevedibile, ma per la Cassazione ciò è inammissibile. Anche perché non si tratta solo di applicare la legge. Si parla di buon senso e rispetto della dignità umana, valori imprescindibili. A cui si aggiunge una totale mancanza del datore di lavoro di gestire concretamente e efficacemente la situazione.
Cosa si evince? Che sottostimare bisogni umani avrà amare conseguenze per i datori di lavoro che sono inadempienti sotto tutti gli aspetti: etico, economico e legale.