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Trasferimento di lavoro: quando il cambio di sede può condizionare tutto

L’ipotesi per niente remota di un trasferimento della propria sede di lavoro, pone lo stesso lavoratore di fronte ad un enorme dubbio.

Una delle dinamiche da non eliminare dai possibili scenari inerenti alla propria condizione lavorativa è legata alla possibilità di trasferimento dalla sede attuale di lavoro. Una possibilità che per alcuni potrebbe trasformarsi un vero e proprio incubo perchè costretti in quel caso a fare a meno degli affetti familiari, figli, mogli, e quant’altro. Considerata la difficoltà di spostarsi in tempi rapidi viene da se che l’opzione non può rappresentare di certo il massimo per la stragrande maggioranza dei lavoratori.

Il trasferimento della sede di lavoro chiaramente è inteso come spostamento definitivo del dipendente dal luogo in cui presta la propria prestazione lavorativa. In ogni caso è bene sapere che la decisione eventuale non può essere presa dal solo datore di lavoro anche se dettata da dinamiche più che influenti rispetto alla condizione del dipendente, esiste un percorso, per cosi dire, da effettuare per portare il lavoratore  a prendere o meno quella particolare decisione. Confrontarsi insomma in merito alla cosa.

Trasferimento della sede di lavoro: il dipendente può rifiutare il possibile allontanamento

Il codice civile, in merito alla questione di cui sopra, stabilisce quanto segue: “un lavoratore può essere legittimamente trasferito esclusivamente a patto che l’azienda possa provare, ad esempio, che la presenza del dipendente nella sede di provenienza non è più utile o che è doverosa la sua particolare professionalità nella sede di lavoro di destinazione. In queste circostanze, le ragioni poste alla base della decisione aziendale hanno un fondamento”. I presupposti risultano abbastanza comprensibili e la cosa in se realisticamente accettabile. Ma le cose non sempre vanno in questo modo.

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In ogni coso è bene precisare che al momento la legge in merito presenta due diversi filoni di valutazione. Da un lato quello che legittima in ogni caso l’obbligo del trasferimento da parte del dipendente perchè motivato da cause ritenute assolutamente rilevanti per la normale prosecuzione dell’attività aziendale. Quindi un lavoratore costretto ad accettare suo malgrado il trasferimento iniziando una nuova vita altrove. Dall’altra, invece c’è chi vede la cosa in maniera del tutto diversa, con il lavoratore che non rischia il posto se rifiuta il trasferimento e l’azienda costretta in qualche modo a considerare per lui una nuova collocazione.

Paolo Marsico

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