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Esiste davvero un sistema produttivo alimentare, redditizio e sostenibile?

Si pensa spesso al futuro del pianeta in un’ottica di sostenibilità ambientale e allo stesso tempo di massimizzazione nell’uso delle risorse disponibili, ma il sistema con queste caratteristiche potrebbe non essere economicamente vantaggioso.

In questo senso si è cominciato a parlare di agroecologia, un concetto che comprende tutte le pratiche agricole basate sull’uso ottimale delle risorse naturali, al fine di ridurre i costi e l’impatto ambientale causato dall’utilizzo di medicinali, fertilizzanti e antibiotici.

Dal punto di vista delle performance il sistema più redditizio sembra essere quello biologico, i cui margini di profitto risultano essere mediamente doppi rispetto a quelli delle aziende agricole che fanno ricorso a input chimici artificiali e industriali.

Agricoltura: qual è il sistema più redditizio dal punto di vista concorrenziale?

Il biologico è attualmente il sistema più redditizio in quanto è in grado di offrire una differenza qualitativa constatabile dal consumatore, emergendo come prodotto alternativo agli alimenti prodotti tradizionalmente. Diversamente l’agricoltura e l’allevamento biologico presentano degli svantaggi dal punto di vista imprenditoriale poiché la resa dipende esclusivamente dalla naturale fertilità del suolo o dai tempi e dalla costituzione naturale degli animali.

Per questo motivo il biologico in agricoltura diminuisce la produzione per ettaro in media del 20% mentre in allevamento destina gli alimenti entro limiti delle produzioni domestiche, aumentando indirettamente i costi che vanno a gravare poi sul consumatore o hanno delle ripercussioni sugli introiti finali del produttore, che dovrà vendere comunque la sua merce sul mercato con un prezzo maggiorato in media del 20%.

Dal punto di vista economico, un dato sicuramente positivo dell’agricoltura biologica secondo Eurostat è quelli del recupero delle terre agricole. Spesso troppo piccole per risultare competitive in un sistema di agricoltura intensiva, possono così venire recuperate evitando il dissesto idrogeologico, ma sopratutto rafforzando il tessuto imprenditoriale e fornendo di conseguenza spazi allo sviluppo di quelle eccellenze alimentari dovute alla biodiversità e lo sviluppo di caratteri tipici che caratterizzano i prodotti locali, soprattutto in Italia.

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Per quali motivi gli allevamenti e l’agricoltura intensiva sono economicamente vantaggiosi?

Quello intensivo è un metodo di produzione, che ottimizzando l’apporto di risorse disponibili sul mercato, è in grado di produrre una tipologia di alimenti con la massima efficienza e il minimo spreco di risorse, per mezzo della meccanizzazione, dell’uso di farmaci e della selezione delle semenze, riadattate per crescere compensando il più possibile tutti gli elementi sfavorevoli come le temperature, i parassiti o la fertilità del terreno.

Uno dei vantaggi della produzione intensiva è quello di poter riversare sul mercato un’abbondante quantità di alimenti tali da contribuire alla loro democratizzazione e alla riduzione dei loro costi. Di contro il sistema agroalimentare industriale è fonte indiretta di enormi sprechi di cibo, che se non incidono in modo diretto sul produttore, sicuramente incidono sull’ambiente in termini di gas serra, tanto che un recente studio della FAO ha calcolato che a livello globale lo spreco alimentare sarebbe il terzo responsabile delle emissioni di Co2, subito dopo le emissioni causate dall’attività di Cina e Stati Uniti. Tuttavia grazie alla diffusione e agli sviluppi dei processi industriali in allevamento, in agricoltura e in acquacoltura, solo negli ultimi vent’anni la produzione di alimenti su scala globale è aumentata di circa il 50% e del 40% per l’allevamento ittico.

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Quali sono le differenze dei modelli economici applicati alle produzioni biologiche e intensive?

Dal punto di vista dell’efficienza produttiva sembrerebbe auspicabile il proseguimento della produzione intensiva. Il modello su cui sono basate le produzioni intensive è quello dell’economia di scala. In questo modello il costo medio per unità di produzione diminuisce all’aumentare dei beni prodotti dell’azienda. Per questa ragione applicando questo modello, maggiore è la dimensione delle aziende minori saranno i loro costi medi. Ammortizzando i costi e aumentando i margini di profitto, le aziende possono fare investimenti al fine di migliorare la produttività, incentivando l’innovazione e abbattendo ulteriormente i costi, assicurando l’approvvigionamento e la sicurezza alimentare in caso di repentini o inaspettati fenomeni climatici, per mezzo delle colture più resistenti e stabili. Tuttavia, soprattutto negli ultimi anni sono venute alla luce tutte le conseguenze negative che questo modello applicato gli allevamenti è in grado di produrre, causando malattie infettive che si sono rivelate in molti casi trasmissibili all’uomo.

Che cos’è e quali vantaggi comporta un’economia di scopo?

L’alternativa all’applicazione di un’economia di scala è un’economia di scopo, con questo modello basato sulla cooperazione di diverse linee produttive, viene applicato similmente al modello di scala, il principio della massimizzazione della produzione al fine di ridurre il costo medio del prodotto, ma condividendo anche a differenza di beni prodotti, i medesimi fattori produttivi, come le conoscenze tecniche, gli impianti e le tecnologie. Questo consente di ridurre il rischio imprenditoriale e aumentare la diversificazione dell’investimento, mantenendo al contempo le caratteristiche e la qualità peculiare dei prodotti locali che non vengono sacrificate a favore della quantità e del profitto.

Andrea Carta

Ha studiato Analisi Tecnica dei mercati finanziari e ha svolto la professione di trader indipendente fino al 2019. Appassionato di letteratura e scrittura creativa, concilia le sue conoscenze ed esperienze scrivendo articoli in tema finanziario, socio economico e politico

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