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Pensione di reversibilità, chi può (davvero) richiederla e a quanto ammonta: facciamo chiarezza

La pensione di reversibilità rappresenta un importante strumento del welfare italiano. Cerchiamo di capire chi può farne richiesta ed ottenerla.

Per molte famiglie, che sono rimaste prive di un componente di famiglia rappresenta una vera e propria àncora di salvezza dal punto di vista economico. Stiamo parlando della pensione di reversibilità. Vediamo chi, a norma di legge, può farne richiesta e in quale misura viene data dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale ai superstiti della persona scomparsa.

Chi ha diritto alla pensione di reversibilità?

La pensione di reversibilità rappresenta quel trattamento economico che viene riconosciuto dall’Inps ai familiari del pensionato scomparso. Si tratta del pagamento mensile di una quota – parte del trattamento pensionistico che il defunto riceveva. Questo servizio può essere però erogato solo all’avverarsi di alcune condizioni.

Ma quali soggetti possono ottenere questa pensione? Tutti i parenti possono vantare questo diritto di fronte all’Inps? Le riforme succedutesi nel corso del tempo e le molte sentenze di vari tribunali e, soprattutto, della Corte Costituzionale, hanno indicato dei riferimenti abbastanza ampi dei beneficiari: il più ovvio è quello della vedova del pensionato ma alla fine ne sono entrati a far parte, a determiante condizioni, anche a gli ex coniugi divorziati. Vediamo come funziona questo trattamento e chi ha diritto alla pensione di reversibilità.

Oltre al coniuge e ai compagni in unioni civili, questo beneficio spetta anche alla prole legittima, naturale, riconosciuta, dichiarata o adottiva che siano: dei minorenni, degli inabili al lavoro. Abbiano la maggiore età maggiorenni ma solo fino ai 21 anni se iscritti a dei corsi professionali oppure degli studenti, siano maggiorenni, ma fino ai 26 anni se iscritti ad un’università.

Oppure, sempre in questa situazione, ai nipoti, pur se non conviventi con la persona che è mancata, orfani che siano inabili al lavoro, anche se maggiorenni, se risultassero a carico a livello di sostentamento continuato nel tempo.

Se non esistono dei coniugi o dei figli, questa pensione può spettare: ai genitori che erano a carico che abbiano più di 65 anni di età; alle sorelle nubili e ai fratelli celibi che fossero a carico, non abili al lavoro e privi di pensione.

Il delicato tema dei conviventi di fatto

Abbiamo visto come questo trattamento spetti anche ai compagni delle unioni civili. Ma cosa dice la giurisprudenza circa il fenomeno, assai diffuso ormai, dei conviventi di fatto?

Da un lato bisogna dire che non si avrebbe diritto ad usufruire di questo beneficio ma il condizionale è d’obbligo in quanto risulta possibile superare questo ostacolo. Vediamo come…

Una sentenza emessa dal tribunale di Foggia nel 2019 sostiene che si possa assicurare questo trattamento pensionistico al proprio compagno stilando un testamento e designando appunto il proprio partner come erede.

Nello specifico la sentenza di cui sopra ha riconosciuto alla vedova di una coppia omosessuale la possibilità di incassare questo beneficio dopo la scomparsa morte della compagna, sebbene la coppia non fosse unita legalmente. Ovviamente questo identico principio può-deve essere applicato anche alle coppie etero.

Bisogna poi sottolineare che sentenza offre questa possibilità anche alle coppie pre-esistenti all’anno della sentenza in questione (2016, quando fu promulgata la cosiddetta lege Cirinnà).

E per quanto riguarda i coniugi separati e quelli divorziati?

Come sopra accennato alla pensione di reversibilità possono accedere i coniugi divorziati e separati. Per queste categorie di recente l’Inps ha, per così dire, allargato i cordoni della borsa facendovi rientrare anche:

i coniugi separati, inclusi coloro che hanno un addebito e non hanno diritto agli alimenti. I coniugi divorziati che non abbiano contratto nuovo matrimonio risposati e che percepiscano l’assegno da divorzio stabilito dal giudice con la sentenza di scioglimento del matrimonio o con la revisione delle disposizioni che concernono l’importo e le modalità dei contributi che vanno corrisposti.

Va segnalato poi un caso diciamo “sui generis”. E’ quello che concerne il defunto che aveva lasciato un coniuge che aveva sposato in seconde nozze ed un altro dal quale aveva divorziato in precedenza e al quale versava un assegno dal divorzio.

In questo particolare caso, la pensione di reversibilità deve essere divisa tra i due soggetti calcolando gli importi in rapporto alla durata dei matrimoni e di eventuali convivenze, oltre all’entità del versamento del divorzio e valutando anche la specifica situazione economica dei soggetti in questione.

Come calcolare la percentuale di pensione che spetta ai vari aventi diritto

La quota percentuale della pensione di reversibilità di cui beneficiare muta in rapporto al grado di parentela del sopravvissuto e del numero di beneficiari. Vediamo nel dettaglio come stanno le cose: al coniuge solo spetta il 60 per cento della pensione della persona venuta a mancare; se si parla di coniuge e di un figlio viene assicurato l’80 per cento della pensione della persona venuta a mancare:

se ci sono coniuge e due o più figli viene erogato il 100 per cento della pensione della persona venuta a mancare. Ad un figlio solo spetta il 70 per cento della pensione della persona venuta a mancare. In caso di 2 figli viene erogato l’80 per cento della pensione della persona venuta a mancare. In caso di 3 o più figli viene erogato il 100 per cento della pensione della persona venuta a mancare.

Per 1 genitore da solo viene erogato il 15 per cento della pensione della persona venuta a mancare. Per 2 genitori viene erogato il 30 per cento della pensione della persona venuta a mancare. Una sorella o un fratello da soli hanno diritto al 15 per cento della pensione della persona venuta a mancare. Invece due sorelle o fratelli al 30 per cento della pensione della persona venuta a mancare.

Questi soldi possono essere sono cumulati al reddito di chi ne beneficia.

Fabrizio Lodi

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