Pensione e lavoro part time, qual è la penalizzazione sull’assegno

Da gennaio 2021 sono cambiate le cose per il part time verticale o quello ciclico ai fini della pensione. Vediamo come.

Fino al 1° gennaio 2021 le lavoratrici e i lavoratori dipendenti del settore privato che venivano impiegati in part time verticale o ciclico, ovvero solo in determinati periodi dell’anno, non avevano diritto all’anzianità piena ai fini pensionistici.

Pensione e lavoro part time
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Pur rispettando il minimale contributivo, oggi, dopo l’entrata in vigore dell’art. 1, co. 350 della legge 178 del 2020, possono usufruire dei benefici che già si vedevano riconosciuti i lavoratori impiegati nel settore pubblico.

Una discriminazione che pesava in maniera particolare su coloro che, nell’avvicinarsi al momento della pensione, non riuscivano a far valere i periodi lavorativi di part time ciclico e verticale. Sono molti gli uomini e le donne italiani che per parte o per tutta la vita lavorativa hanno svolto occupazioni soltanto per alcuni mesi dell’anno: accade quando il datore di lavoro ha bisogno solo per un dato periodo e in genere lascia a riposo i dipendenti nella stagione estiva o invernale.

Così facendo il dipendente del settore privato maturava una sospensione dall’attività lavorativa che però non produceva frutti ai fini pensionistici.

Pensione e lavoro part time

Una persona che lavora con un part time verticale, prima dell’entrata in vigore di questa legge si ritrovava a maturare l’anzianità contributiva soltanto per i periodi di tempo effettivamente passati al lavoro. Ciò comportava un considerevole lasso di tempo neutro che, se protratto nell’arco di una lunga vita lavorativa, comprometteva inevitabilmente l’accesso alla data di pensionamento.

Facciamo un esempio per rendere tutto molto più chiaro e concreto. Nel caso di un lavoratore impiegato per 8 mesi all’anno l’Istituto Nazione di Previdenza Sociale (INPS) ai fini contributivi calcolava 35 settimane e non le canoniche 52 settimane.

Per il settore pubblico la situazione è sempre stata diversa

Questo significativo problema che accomunava fino allo scorso anno milioni di lavoratori italiani non ha mai riguardato invece i dipendenti del settore pubblico. Per loro, anche se soggetti ad un part time e ad un impiego ad orario ridotto, gli anni di servizio maturati ai fini della pensione erano calcolati interamente.

Già la Corte di Cassazione in passato aveva accolto le istanze dei lavoratori che chiedevano venisse tenuto conto anche dei periodi di tempo non lavorati per calcolare l’anzianità contributiva. Tale organo giuridico aveva messo in evidenza come fosse il caso di riproporzionare su tutto l’arco dell’anno l’ammontare dei contributi maturati e versati, tenendo conto del minimale contributivo, anche per chi lavorava in regime di part time verticale.

Per fortuna le cose sono recentemente cambiate ed oggi i lavoratori in part time ciclico o verticale, dipendenti di aziende private possono avvalersi degli stessi diritti dei loro colleghi impiegati nel settore pubblico. Chi alla data del 1° gennaio 2021 aveva un rapporto lavorativo in corso oppure lo aveva terminato può vedersi riconosciuto questo importante beneficio che incide e cambia la sua anzianità contributiva.

E’ necessario, affinché il tutto sia riconosciuto anche in maniera retroattiva, che il titolare della richiesta inoltri la specifica domanda all’INPS con allegata tutta la documentazione necessaria come riportato nella circolare INPS 74/2021. Questo iter consente al lavoratore di ottenere il recupero dell’anzianità contributiva che gli spetta.

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