L’inflazione mette in pericolo i tuoi risparmi, solo se non li investi

L’ultimo rapporto di febbraio dell’Associazione Bancaria Italiana è piuttosto eloquente sulla tendenza in atto tra i risparmiatori Italiani.

Nonostante l’inflazione sia fonte di preoccupazione per gli investitori, il fenomeno è ancora più deleterio per tutti coloro che preferiscono lasciare i propri risparmi disinvestiti, senza che generino dei rendimenti tali da contrastarne efficacemente l’effetto.

L’ultimo rapporto di quest’anno dell’Associazione Bancaria Italiana dice che da gennaio 2021 in Italia i depositi in conto corrente, certificati di deposito, pronti contro termine, sono aumentati dell’11,6%, contro una riduzione della raccolta di fondi, tramite obbligazioni, scesa negli ultimi dodici mesi del -9,5%

Certamente la preoccupazione per la situazione economica, l’assenza di punti di riferimento e concrete rassicurazioni da parte delle istituzioni può giustificare in parte questa tendenza, che è tuttavia una delle cause per la quale si può subire proprio quello che si vorrebbe evitare, ovvero l’erosione del potere d’acquisto dei propri risparmi e la capacità di spesa che una certa somma di denaro può garantire rispetto a un bene o un servizio. Per capire meglio la situazione Italiana e fotografare la tendenza in atto, è sufficiente considerare come, sempre secondo il rapporto della ABI

“A gennaio 2021 il mercato azionario mondiale ha riportato una variazione positiva pari al +4,3% su base mensile (+15,0% la variazione percentuale su base annua)”.

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Risparmi: per contrastare il pericolo inflazione è meglio investirli

Un investimento a lungo termine sul mercato azionario, per esempio su base decennale, potrebbe compensare i rischi della volatilità di questo comparto finanziario, garantendo dei ritorni, per essere eufemistici, che sono sicuramente più vicini a un rendimento positivo che non al suo contrario.

Vediamo un’esemplificazione dei drawdown e dei gain, ovvero della peggiore performance e del rendimento finale, ottenuta sull’indice S&P 500, che segue l’andamento di un paniere azionario formato dalle 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione. Ecco i rendimenti annuali S&P 500 degli ultimi 10 anni:

  • 2010,  +15,1%
  • 2011, + 2,1%
  • 2012, +16,0%
  • 2013, +32,4%
  • 2014, +13,7%
  • 2015, +1,4%
  • 2016, +12,0%
  • 2017, +21,8%
  • 2018,  -4,4%
  • 2019, +31,5%
  • 2020, + 18,4%

A fronte di un guadagno medio annuale di circa il 15% avremmo dovuto subire e sopportare un drawdown medio del -13,8%

Per quanto riguarda invece tutti quegli investitori sugli asset a reddito fisso, l’inflazione può essere particolarmente problematica per gli investimenti che non sono indicizzati all’inflazione, in cui cioè i pagamenti regolari in linea interessi rimangono fissi fino alla scadenza, come i detentori di obbligazioni e quindi creditori nei confronti dell’emittente. Senza considerare che i tassi d’interesse possano subire un aumento, svantaggiandoci rispetto alle nuove emissioni, come misura di politica economica atta a contrastare gli effetti inflattivi.

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