Trading, settimana decisiva: perché scommettere su un rialzo del petrolio

Saudi Aramco, gli accordi tra Germania e Qatar e la possibilità di scambiare petrolio in Yuan. Le motivazioni di un rialzo del petrolio e gas naturale.

La presentazione dei risultati finanziari dell’ultimo anno della più importante multinazionale petrolifera ha rivelato anche i piani per il futuro.

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Per l’Italia, l’obiettivo tattico è limitare i danni della crisi economica e dell’emergenza migratoria scatenate dall’invasione decisa da Putin. Quello strategico è contribuire alla creazione di un nuovo ordine europeo che potrà scaturire dalla serie di crisi in atto. Draghi ha dichiarato il suo sostegno all’ingresso di Kiev nell’Unione Europea, ma la fermezza di oggi è un gioco politico che gli investitori scontano sull’aspettativa di un nuovo potenziale rialzista del petrolio.

L’incertezza di un embargo petrolifero dell’Unione Europea sulla Russia, così come avvenuto per gli Stati Uniti, si accompagna alla consapevolezza di dover trovare nuovi modi per compensare la domanda. Il fabbisogno energetico dell’Europa troppo dipendente da Mosca potrà contare sull’aumento della produzione di petrolio, che sarà maggiore di 1 milione di barili al giorno entro il 2027. La produzione passerà dai 12 ai 13 milioni e quella di gas salirà di oltre il 50 per cento entro il 2030.

I trader scommettono su un altro rialzo del petrolio. Le date più importanti

Dal 21 al 25 marzo, i Paesi membri dell’Unione Europea si riuniranno in più occasioni, per discutere dell’embargo. In particolare da giovedì 24 l’occasione diverrà propizia per constatare l’evoluzione degli incontri multilaterali, contando anche sulla presenza a Bruxelles di Joe Biden. Tra i maggiori sostenitori europei del blocco sulle importazioni di fonti energetiche russe vi sarebbero Lettonia, Estonia e Lituania.

I prezzi dei future sul brent hanno comunque mantenuto invariato il prezzo stabile intorno ai 115 dollari al barile. L’incertezza sulla catena di approvvigionamento rimane pesante soprattutto ora che l’UE sembra voler emulare la posizione presa l’8 marzo dagli Stati Uniti. I ministri degli Esteri dell’Unione europea sono divisi sull’opportunità, con alcuni paesi che sostengono contraria in quanto l’eurozona è troppo dipendente dai combustibili fossili provenienti dalla Russia.

Nel quadro della riduzione della dipendenza con Mosca, l’Unione sta altresì esortando le società energetiche europee a rivedere i propri commerciali con i colossi russi. Questo ha portato la tedesca Uniper SE, uno dei maggiori acquirenti di gas russo, ad annunciare che non avrebbe firmato alcun nuovo contratto di fornitura con la Federazione. Esiste tuttavia una certa ritrosia della Germania, ha avvertito gli altri Paesi di non agire troppo rapidamente in questa direzione, a causa degli effetti deleteri sui prezzi dell’energia.

Anche la Bulgaria sembrerebbe non voler adottare tali misure, dipendendo quasi completamente dalle forniture di gas della società energetica statale russa Gazprom. L’unica raffineria di petrolio della Bulgaria è di proprietà della russa Lukoil, responsabile della fornitura di oltre il 60% del carburante utilizzato nel Paese.

L’Unione Europea e l’embargo petrolifero: i trader scommettono su un altro rialzo del greggio

I diplomatici hanno detto che un attacco con armi chimiche russe in Ucraina, o un pesante bombardamento della capitale, Kiev, potrebbe essere il fattore scatenante affinché l’UE si unisca all’embargo energetico. Mentre i paesi baltici vogliono un embargo petrolifero, la Germania e l’Italia, che dipendono dal gas russo, respingono questa possibilità a causa della sua insostenibilità economica. Oltre gas e petrolio, di cui sono particolarmente preoccupati i Paesi Bassi, sono previste anche quelle sul carbone. In questo caso i Paesi più vulnerabili e quindi contrari sono oltre la Germania, la Polonia e la Danimarca.

Per prepararsi all’evenienza e diversificare le sue fonti di approvvigionamento la Germania ha raggiunto domenica 20 marzo un accordo di partenariato energetico con il Qatar. L’intesa dei due Paesi siglata con una prospettiva di lungo periodo darà modo di riprenderanno e porteranno avanti gli scambi commerciali di Gas Naturale Liquefatto.

Il Qatar ha altresì reso noto che il Paese cercava da anni di rifornire energeticamente la Germania. Tuttavia, in passato, i negoziati non avevano mai portato ad accordi concreti.  Berlino attualmente non può ricevere forniture di GNL perché non dispone delle infrastrutture. Di queste senza la guerra di Putin avrebbe fato le veci il progetto russo tedesco Nord Stream 2, un gasdotto concepito per portare il gas naturale russo direttamente in Germania, attraverso il Mar Baltico.

Arabia Saudita e Cina: i trader scommettono su un altro rialzo del petrolio

Alle preoccupazioni in occidente si aggiungono le recenti offensive ai siti di Saudi Aramco da parte del movimento Houthi dello Yemen. L’Arabia Saudita ha avvertito che non si assumerà la responsabilità per le interruzioni dell’approvvigionamento globale a seguito dell’escalation degli attacchi alle sue strutture.

I commenti sono arrivati dopo che il gruppo ha utilizzato missili e droni contro le strutture della compagnia petrolifera durante il fine settimana. Un terzo motivo di incertezza per i mercati, in grado di stravolgere gli equilibri commerciali e geopolitici riguardano ancora l’Arabia Saudita e i suoi rapporti con la Cina. La Cina è l’unico Paese che può influire sull’esito delle dinamiche economiche di Europa e Stati Uniti, modificando radicalmente gli squilibri dell’attuale conflitto in Ucraina e i suoi effetti sul piano economico. Lo Yuan cinese potrà essere la moneta che mette d’accordo Russia e Arabia Saudita nell’emanciparsi dal Dollaro.

I colloqui con la Cina sui contratti petroliferi in yuan vanno avanti dal 2016, ma quest’anno hanno subito un’accelerazione. La Cina sta tentando di acquistare petrolio in yuan piuttosto che in dollari, mettendo così al centro dell’economia globale la sua moneta. L’Arabia Saudita, che vende un quarto delle sue esportazioni in Cina, sta considerando di assecondare la volontà di Pechino.

Cosa accade se il petrolio viene scambiato in Yuan?

Questo significherebbe un rinnovato legame forte tra i due Paesi che diverrebbero necessariamente due alleati politici oltre che economici. Oggi l’egemonia geopolitica degli Stati Uniti si basa in modo significativo sul petrodollaro, l’80% delle transazioni petrolifere globali sono infatti denominate in dollari. Questo status è esiste dai primi anni ’70, non molto tempo dopo della fine del gold standard.

Nel 1974, Washington e Riyadh raggiunsero un accordo in base al quale l’Arabia Saudita poteva acquistare buoni del tesoro statunitensi prima che fossero messi all’asta. In cambio, l’Arabia Saudita vende il suo petrolio in dollari, non solo allargando la liquidità della valuta, ma anche usando quei dollari per acquistare debito e prodotti statunitensi.

A sua volta l’Arabia Saudita ha convinto altre nazioni dell’OPEC a fatturare il petrolio in dollari. Anche lo yuan per lo stesso motivo può innescare un mutamento nelle finanze saudite sufficiente per trascinare gli altri paesi OPEC nella nuova convenzione.

Con un accordo dello stesso tipo di quello USA, i produttori di petrolio che ricevono yuan finanzierebbero il debito cinese e le importazioni cinesi. Altri scambi potrebbero iniziare a essere denominati in yuan, ad esempio commodities come l’alluminio o la soia. In questa situazione, l’indebolimento del dollaro potrebbe innescare un circolo vizioso: fuga di capitali dal dollaro verso lo yuan, debilitando ulteriormente il dollaro.

Naturalmente questo scenario è oggi lontano dal concretizzarsi. Per avere un termine di paragone attualmente le riserve mondiali in dollari sono 7,1 mila miliardi. Le altre valute più influenti negli scambi commerciali sono: euro con un controvalore di 2,5 mila miliardi, Yen 0,7 Pound 0,6 e yuan 0,3 mila miliardi.

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