Con la fine della guerra in Afghanistan il futuro degli Stati Uniti è a una svolta

Il conflitto in Afghanistan ha mobilitato in vent’anni mezzi e risorse per un costo complessivo che in media è stato di 300 milioni di dollari al giorno.

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Il paese mediorientale è oggi devastato da povertà, terrore, analfabetismo e divisioni etniche, che rischiano di inasprirsi ogni qual volta un mutamento di regime mette al controllo del governo una frangia fondamentalista. Il 16 agosto 2021 il presidente Biden si è rivolto alla nazione per spiegare perché l’esercito americano si sta ritirando dall’Afghanistan.

In misura minore, ha anche cercato di spiegare perché il governo afghano e il suo esercito che contava 300.000 uomini, sembrano essersi dissolti con l’implosione dello stato afghano. Con la sconfitta dell’esercito è andata in fumo la lunga strategia di influenza e democratizzazione del territorio da parte degli Stati Uniti, insieme a oltre mille miliardi di dollari spesi a partire dal 2001.

Quello che accade in questi giorni evidenzia il vantaggio strategico della Cina che non comporta l’utilizzo di eserciti ma soltanto la disposizione di ingenti capitali e accordi economici e commerciali, finalizzati ad accerchiare e a rilanciare la propria influenza sull’area a maggioranza musulmana. La Cina e l’Afghanistan condividono oggi rotte commerciali e accordi indiretti per il controllo del terrorismo, soprattutto nel confine orientale cinese dove si trova lo Xinjiang, la nota regione a maggioranza musulmana.

 Perché l’Afghanistan è diventato antieconomico per gli Stati Uniti

La rivalità tra Stati Uniti e Cina che è divenuta particolarmente evidente negli ultimi cinque anni, è in grado di porre in conflitto anche gli stessi paesi dell’Eurozona, che dovranno rivedere la loro politica estera o diversamente rinnovare una visione federalista e porre il primato dell’Unione sopra gli interessi delle singole nazioni. Mentre gli Stati Uniti e la Nato cercavano di stabilizzare la regione occupandola militarmente e cercando il coinvolgimento della popolazione anche con aiuti umanitari, la Cina sfruttava la situazione di incertezza e transizione per investire nelle attività estrattive afghane come i metalli preziosi, oro, rame e terre rare.

Non è stato possibile costruire un futuro economico o istituzionale per l’Afghanistan che continua ad avere ancora oggi alti tassi di analfabetismo e povertà molto alti. Con l’occidente che è verrà ormai indelebilmente ricordato il nemico della società islamica e del paese, Pechino avrà una libertà di movimento tale da riuscire a conciliare una forma di autorità morale e di credibilità, anche sul piano internazionale, con ingenti risorse economiche e strutturali sufficienti per tentare di sostituire l’impero americano.

Perché gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Afghanistan?

L’impero americano oggi deve pagare il conto degli investimenti divenuti sempre più sproporzionati in relazione ai benefici ottenuti, che hanno creato uno squilibrio nella distribuzione delle risorse economiche, dati gli ampi mutamenti di scenario che si sono succeduti nell’ultimo decennio e in particolar modo negli ultimi quattro anni. Con un ulteriore cambiamento imprevedibile dovuto alla pandemia che ha notevolmente mutato le priorità USA, sia in relazione alla Cina, all’Europa e alla Russia.

Considerando le variabili in gioco nello scenario attuale e i nuovi concorrenti a livello geopolitico, rappresentati dal rinnovarsi della rivalità con la Russia, nonché del nuovo competitore rappresentato da Pechino, la risposta potrebbe essere molto più semplice di quello che sembra. Gli Stati Uniti non hanno più interesse a finanziare le spese militari e il controllo sul territorio preferendo stanziare quei fondi per progetti in aree che sono divenute oggi molto più importanti.

Le aree oggi divenute di importanza strategica per l’egemonia degli Stati Uniti sono gli investimenti e la concorrenza divenuta sempre meno economica, finalizzate a sviluppare tecnologie utili a competere sia militarmente che economicamente con la Cina. In quest’ottica si inserisce anche il costo degli investimenti in cibersicurezza necessari per affrontare la Russia, ma anche la Cina, nonché eventuali altri attori minori che possano costituirsi eventualmente come gruppi di cyber terrorismo.

Nuovi investimenti saranno necessari per rafforzare il sistema infrastrutturale ed economico al fine di fronteggiare quelli che saranno gli effetti sempre più incisivi del cambiamento ambientale. Queste tre sfide sono rappresentate in sintesi dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale, dall’indipendenza energetica e il rafforzamento del sistema produttivo soprattutto quello alimentare, nonché di un sistema di protezione dagli attacchi informatici.

In questo scenario gli Stati Uniti sono sempre più consapevoli che non hanno più le risorse economiche né la volontà di continuare a finanziare le attività militari in Afghanistan, per non parlare del Medio Oriente, che si tratti di Iraq, Libia, Siria, Iran o combattere l’Isis o gli stati arabi nello Yemen.

Le politiche fiscali per finanziare la guerra in Afghanistan

Quella in Afghanistan è la prima guerra nella storia degli Stati Uniti che non è stata finanziata con l’aumento dell’imposizione fiscale e anzi, durante la guerra in Medio Oriente gli USA hanno contestualmente diminuito le tasse, in una combinazione di aumento del debito pubblico insieme alla credenza di poter concludere la guerra nell’arco di pochi anni.

La storia finanziaria degli Stati Uniti dal 2000 fino a oggi, può dare un’idea abbastanza chiara di come la presenza militare nel Medio Oriente abbia reso sempre più insostenibile il deficit, che da Bush in poi è cresciuto in modo sempre più evidente, fino a causare il rapido declino delle finanze e degli incentivi a mantenere la presenza militare nel Paese.

A partire da W. Bush nel primo decennio 2001 – 2010, l’imposizione fiscale è stata diminuita di oltre 4 trilioni di dollari ai quali si aggiungono 1 trilione nel primo biennio di Barack Obama che ha esteso i tagli fiscali di Bush che sarebbero scaduti nel 2010 fino al 2018. Donald Trump che ha ereditato le pregresse politiche fiscali ha contribuito con un ulteriore innalzamento dell’indebitamento aggiungendo tagli per un ammontare di 4,5 trilioni fino al 2028.

Se a questo si aggiunge la recente crisi economica e quella del 2008, abbiamo un quadro chiaro di come l’economia USA si sia trovata a dover sostenere una guerra divenuta secondaria e non più remunerativa dal punto di vista strategico e geopolitico. Tutto questo avveniva infatti in un momento di debolezza, con una crescita economica media che 2007 a oggi è stata appena dell’1% annuo.

Quella in Afghanistan sarà l’ultima guerra combattuta in modo tradizionale

L’Afghanistan rappresenta per gli Stati Uniti non l’inizio della fine del suo imperialismo, ma un chiaro indicatore che segna il nuovo corso dell’influenza USA, che porrà le sue basi su sistemi che passeranno dallo sviluppo di strategie molto più economiche e basate essenzialmente sul connubio di finanza e tecnologia.

Per tutti questi motivi è possibile che questa per gli USA sarà l’ultima guerra combattuta in modo tradizionale, il sistema usato fino ad oggi è diventato antieconomico e rischia di indebolire il potenziale difensivo del paese, che è oggi esposto su molto più fronti rispetto a quelli dei conflitti avvenuti prima del 2001. Gli USA si trovano oggi a disporre di rinnovate risorse in termini energetici come petrolio e gas estraibili con il fracking. La principale ragione strategica delle guerre statunitensi in Medio Oriente, cioè il petrolio, non è più una motivazione sufficiente, date le tendenze sviluppate a livello globale, per una diversificazione che porti a una totale decarbonizzazione e all’indipendenza energetica attraverso la sostituzione di queste con fonti rinnovabili.

La caratteristica dell’imperialismo USA è quello di non esercitare in modo diretto il potere politico sui governi indigeni, ma influenzarli indirettamente con la predominanza del suo sistema economico e soprattutto finanziario. Il dollaro USA è il sistema più utilizzato negli scambi e nei pagamenti internazionali, affiancato dal controllo ufficioso del FMI e della Banca Mondiale.

Qualcosa di simile a quanto sembra giustificare oggi il ritiro dall’Afghanistan è avvenuto anche quando quello che fu l’impero britannico iniziò il suo declino, con il progressivo ritiro dalle colonie avvenuto a cavallo tra le due guerre mondiali e proseguito fino alla totale scomparsa del suo impero coloniale. Così fu anche per l’Unione Sovietica, che crollò a partire dal 1980 dopo un periodo di stagnazione economica. Gli Stati Uniti sono nelle primissime fasi di qualcosa che potrebbe segnare una svolta nelle politiche imperialiste, proprio come l’amministrazione Trump si prefiggeva, con il ritorno a un isolazionismo finalizzato soprattutto a evitare la perdita del controllo sulle sue risorse e dei suoi mercati esteri.

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