Addio a BTP e mattone: gli italiani preferiscono altre forme di risparmio che permettono di guadagnare più soldi

Anche gli italiani hanno cominciato a preferire investimenti fuori dai classici canoni dei titoli difensivi e altre forme di risparmio. L’inflazione spinge oggi a considerare anche le ragioni della crescita.

L’aumento della percezione del rischio stagflazione sposta l’attenzione su soluzioni in grado di compensare le straordinarie condizioni e dinamiche di mercato.

gli italiani preferiscono altre forme di risparmio

Le concause che hanno messo fine alla preferenza di investimenti come immobili e titoli di Stato si scontano in modo oggettivo sui dati macroeconomici. Ad aprile sono usciti i dati sul Pil; mediamente sotto le attese, in particolare quello Usa, sceso dell’1,4% nel primo trimestre e quello francese, in stagnazione.

Lo scorso fine settimana Powell, in un’intervista, ha detto: il nostro obiettivo è quello di portare l’inflazione Usa al 2% attraverso un atterraggio morbido, ovvero di entrare in recessione. Il risultato positivo, almeno sul breve termine dell’intervento della banca centrale non è quindi garantito. L’inflazione Usa è diminuita meno delle aspettative e resta sopra l’8%.

Gli italiani preferiscono altre forme di risparmio; cosa mostra la ricerca del Censis

Se i mercati azionari continuano a perdere valore, anche l’obbligazionario italiano come i BTP sembra avere perso l’attrattiva di una volta. Peggiore delle prime due è la percezione degli investitori italiani sul mattone. Il mutamento del sentiment è fotografato dal Rapporto «Investire di più, investire nell’economia reale» realizzato dal Censis in collaborazione con Assogestioni.

Dall’indagine emerge che il 78,2% dei risparmiatori è propenso a effettuare investimenti etici, cioè rispettosi delle ricadute sociali e ambientali. Il 54,4% del campione intervistato investirebbe in piccole e medie imprese italiane. Titoli di Stato e immobili sono invece considerati poco convenienti per il 71,7% e il 55,5% rispetto ad altre forme di investimento.

Tra i professionisti solo per il 15,7% dei consulenti afferma di avere clienti che considerano il mattone la forma migliore di investimento. Investire in immobili in periodi di iperinflazione si rivela infatti perdente sul lungo periodo. Chi ha acquistato un immobile tra gli anni 70 e gli anni 80 ha visto il prezzo nominale delle case e dei locali salire, senza considerare che il valore reale aumentava molto meno dell’inflazione. Il risultato è stata la tendenza a pensare che il mattone possa necessariamente proteggere la propria ricchezza.

Questa classe di asset che ha solitamente poca correlazione con la finanza, consente di diversificare da azioni e obbligazioni. In genere la crisi sistemica influisce in maniera molto minore sul prezzo degli immobili. Il prezzo delle case può aumentare a causa di un aumento della domanda a parità di accesso al credito. Tuttavia, se l’inflazione influisce sui prezzi e sul costo della vita, questo ha anche un effetto negativo sul decorso dell’economia e degli affitti.

Torna ad aumentare la propensione al risparmio e diminuisce la fiducia nei consulenti finanziari

Un altro effetto dell’attuale contesto economico è stato secondo il Rapporto il ritorno dell’inclinazione al risparmio. La propensione al risparmio, che era pari all’8,1% del reddito disponibile nel 2019, è aumentata al 15,6% nel 2020 ed è oggi pari al 13,1%. Sarà decisiva in questo scenario il ruolo della consulenza finanziaria; tra chi conosce gli strumenti di risparmio gestito pari al 40% del campione, meno della metà pari al 46,2% ne ha fiducia. Secondo il 47,9% dei consulenti finanziari la clientela si aspetta di ricevere spiegazioni in merito a paure e ansie.

La propensione a investire nei prodotti del risparmio gestito risulta buona: il 53,1% dei risparmiatori lo farebbe e il 10,9% lo ha già fatto in passato. Il consulente finanziario ha un ruolo delicato, essendo la figura a cui le persone si affidano per poter gestire i propri risparmi e ricevere aiuto nella pianificazione finanziaria.

Nonostante il diffondersi degli strumenti di investimento e di accesso ai mercati la cultura finanziaria nel nostro paese rimane piuttosto refrattaria ai cambiamenti e al rischio. Ogni cliente ha le sue esigenze e la sua propensione al rischio, qui il consulente deve fare un lavoro meticoloso, nel capire e decidere insieme all’investitore, quale rischio può sopportare per poter raggiungere i suoi obbiettivi finanziari. Più della metà dei consulenti finanziari rileva che negli ultimi due anni la fiducia non è aumentata, rimanendo stabile per il 43,6% e diminuita per il 5,8%.

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