Novità pensioni e indennità di perequazione ‘De Maria’: sì al computo ai fini previdenziali

Corte Costituzionale e Corte di Cassazione sono concordi nell’affermare la ‘pensionabilità’ dell’indennità di perequazione cd. ‘De Maria’, e ciò con riferimento sia al personale medico che a quello amministrativo. I dettagli.

Utili precisazioni sono contenute nella giurisprudenza che riconosce l’indennità di perequazione versata al personale universitario – cd. indennità ‘De Maria’ – come parte della base pensionabile.

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Proprio così: la Corte Costituzionale ha acclarato la computabilità sia ai fini della pensione, che della buonuscita dell’indennità di perequazione ex art. 31 del Dpr n. 761 del 1979.

Non vi sono più dubbi: l’indennità di perequazione prevista a favore del personale universitario, che si trova a lavorare in aziende ospedaliero-universitarie o strutture convenzionate, partecipa sempre ai fini della individuazione della misura del trattamento di buonuscita, anche laddove il personale distaccato non dia luogo ad attività di assistenza sanitaria.

Vediamo allora un po’ più da vicino che cosa hanno stabilito i giudici – Consulta e Cassazione – su questo tipo di indennità e sui suoi riflessi in ambito previdenziale.

Pensioni e indennità di perequazione: il contesto di riferimento

I citati chiarimenti attengono a particolari categorie di lavoratori, quali i professori, i ricercatori universitari e le figure equiparate, che compiono –  insieme con l’attività didattica e di ricerca – anche attività di assistenza sanitaria in aziende ospedaliero-universitarie o strutture comunque convenzionate.

Si tratta di figure professionali che godono oltre al trattamento economico da parte dell’ateneo, anche di un compenso ulteriore che è gravante sulla struttura sanitaria. Esso prende il nome di indennità di perequazione ed è proporzionato in base alle responsabilità collegate ai vari tipi di incarico e ai risultati conseguiti nell’attività di assistenza e gestione.

Ebbene, il trattamento perequativo – detto anche “De Maria” – disposto dall’art. 31 del Dpr n. 761 del 1979, alle sue origini non era computato ai fini della determinazione della misura del trattamento pensionistico, né della buonuscita. Ma la Corte Costituzionale è stata di diverso avviso, come ora vedremo.

Rimarchiamo che l’indennità è stata prevista a favore del personale universitario, che svolge servizio nelle strutture sanitarie, nella misura che serve per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali di identiche funzioni, mansioni ed anzianità. Finalità della norma istitutiva è allora l’equiparazione effettiva tra sanitari dell’ospedale e docenti universitari, che lavorano nelle cliniche universitarie.

La Consulta indica la ‘pensionabilità’ dell’indennità di perequazione

Come accennato in precedenza, l’orientamento giurisprudenziale della Consulta ha stabilito qualcosa di molto utile al lavoratore. Infatti, grazie ad una decisione ad hoc questo giudice ha dichiarato la cosiddetta pensionabilità dell’indennità di perequazione – specificando altresì che il nuovo criterio è da intendersi in modo generalizzato – vale a dire applicabile al di là dello svolgimento effettivo di specifica attività di assistenza sanitaria.

Chiaro che nel ragionamento della Corte, che ha condotto a questa statuizione, il giudice ha considerato come determinante l’elemento della perequazione contenuto in questa tipologia di indennità – rimarcando che il legislatore ha varato questo contributo nella finalità  di evitare disparità di trattamento e discriminazioni tra lavoratori subordinati che esercitano la stessa attività.

In buona sostanza, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quella parte del Dpr n. 761 del 1979, che escludeva la valenza ai fini previdenziali e assistenziali dell’indennità di perequazione.

Il consolidamento della giurisprudenza sul tema dell’indennità di perequazione

A questo orientamento così importante fissato dalla Corte Costituzionale, si è allineata la Corte di Cassazione – con riferimento al personale amministrativo. Il giudice di legittimità con l’ordinanza n. 20917 del 2020 ha indicato infatti che la pensionabilità dell’indennità di perequazione non può essere circoscritta al mero personale che si occupa dell’attività di assistenza sanitaria. E ciò per i due seguenti motivi:

  • per la natura stessa dell’indennità;
  • perché la regola di riferimento vale per il personale universitario in generale, che presta servizio nei policlinici, i centri clinici e gli istituti universitari di ricovero e cura.

La Suprema Corte non ha fatto altro che ulteriormente precisare quanto già affermato dalla Consulta. Il principio è dunque quello che si fonda sul provvedimento della Corte Costituzionale che ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 31 del citato Dpr n. 761 del 1979, nella parte nella quale tagliava fuori l’utilità ai fini previdenziali e assistenziali dell’indennità in oggetto.

Anzi l’indennità di perequazione concorre in senso ampio a costituire la base contributiva utile ai fini del calcolo dell’indennità di buonuscita. A questa conclusione la Cassazione è giunta sulla scorta di quanto previsto del Dpr n. 1032 del 1973, recante l’approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato.

Concludendo e sintetizzando il ragionamento dei giudici, l’orientamento consolidato della giurisprudenza propende per affermare che va contata l‘indennità di perequazione sia per la pensione che per la buonuscita, valendo sia per il personale medico sia per quello amministrativo – come puntualizzato dalla Corte di Cassazione.

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